Oltre 13 milioni di italiani hanno problemi di connessione

28 ottobre 2021

E’ stato presentato il rapporto “La digital life degli italiani” realizzato dal Censis in collaborazione con Lenovo. Uno dei principali risultati del rapporto è rappresentato dal fatto che 13,2 milioni di italiani hanno problemi di connessione a internet.

Il 70,4% degli italiani ritiene che la digitalizzazione abbia migliorato la loro qualità della vita, perché semplifica tante attività quotidiane.

Nell’Italia post-pandemia, per il 74,4% degli utenti è ormai abituale l’uso combinato di una pluralità di device (smartphone, pc, laptop, tablet, smart tv, console di gioco).

Il luogo dal quale ci si connette non ha più importanza: il 71,7% degli utenti svolge ovunque le proprie attività digitali (e il dato sale al 93% tra i giovani). E anche gli orari sono relativi: il 25,5% naviga spesso di notte (il dato sale al 40% tra i giovani).

Nove utenti su dieci (il 90,3%) dichiarano di possedere device in linea con le proprie esigenze.

Anche i luoghi domestici sono in gran parte attrezzati per il pieno ingresso nella digital life: il 73% degli utenti vive in famiglie in cui ogni membro si connette con un proprio dispositivo, il 71,1% ha una connessione casalinga ben funzionante, il 67,9% risiede in abitazioni in cui ciascuno ha uno spazio in cui svolgere le proprie attività digitali.

Due terzi dei lavoratori (il 66%) utilizzano device personali per motivi di lavoro, con punte fino all’85% tra i lavoratori autonomi e del 72,2% tra gli occupati laureati.

Ma succede anche che il 26,9% degli occupati (e il 39,8% dei dirigenti) impieghi i dispositivi elettronici aziendali per ragioni personali. Sottovalutando il fatto che usi impropri dei dispositivi possono comportare rischi per la sicurezza dei dati e per la privacy di lavoratori e aziende.

In questo scenario abbastanza avanzato di digitalizzazione, nel nostro Paese si contano però ancora 4,3 milioni di utenti di dispositivi senza connessione.

E sono complessivamente 22,7 milioni gli italiani che lamentano qualche disagio in casa, con stanze sovraffollate in cui è complicato svolgere al meglio le proprie attività digitali (14,7 milioni) o con connessioni domestiche lente o malfunzionanti (13,2 milioni).

Sul fronte dei dispositivi, 12,4 milioni di italiani devono condividerli con i propri familiari e 4,4 milioni li ritengono inadeguati a soddisfare i propri bisogni.

Ci sono poi complessivamente 24 milioni di italiani che non sono pienamente a loro agio nell’ecosistema digitale: 9 milioni riscontrano difficoltà con le piattaforme di messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram, ecc.), 8 milioni con la posta elettronica, 8 milioni con i social network (Facebook, Instagram, ecc.), 7 milioni con la navigazione sui siti web, 7 milioni con le piattaforme che consentono di vedere in streaming eventi sportivi, film e serie tv, 6 milioni hanno difficoltà con l’e-commerce, 5 milioni non sanno fare i pagamenti online, 4 milioni non hanno dimestichezza con l’uso delle app e delle piattaforme per le videochiamate e i meeting virtuali.

Io ritengo necessario che quanto prima i problemi di connessione che sono emersi dal rapporto siano eliminati o quanto meno fortemente ridotti.

Inoltre, come di nuovo emerge dal rapporto, risulta necessario accrescere le competenze in campo digitale soprattutto della popolazione con età più elevata.

Diversamente, infatti, il cosiddetto “digital divide”, cioè la disparità nelle possibilità di accesso ai servizi telematici tra la popolazione, non si ridurrà mentre, invece, è indispensabile ridurlo. 


Sulle pensioni di nuovo Landini come Salvini

25 ottobre 2021

Le pensioni anticipate con la cosiddetta quota 100 termineranno con il 2021. Il governo ha avanzato una proposta per gestire il post quota 100. Tale proposta, al momento, non è stata accettata dalla Lega, dalla Cgil, capeggiata da Maurizio Landini, e dagli altri sindacati.

Il fatto che Salvini e la Lega osteggino la proposta del governo non mi stupisce. Del resto, con il governo giallo-verde la Lega è stata la paladina dell’introduzione di quota 100.

Per la verità quota 100 è costata molto ma quanti sono andati in pensione sono stati sostituiti solo in minima parte.

Chi la proponeva invece sosteneva che tutti coloro che sarebbero andati in pensione con quota 100 sarebbero stati sostituiti da giovani.

Mi stupisce invece che la Cgil, soprattutto, si sia dichiarata contraria alla proposta del governo.

E tale posizione della Cgil è sbagliata, anche perché le loro proposte alternative costerebbero molto e impedirebbero quindi di destinare effettivamente adeguate risorse finanziarie, con la legge di bilancio, ad altri utilizzi senza dubbio più utili per la collettività.

Invece la Cgil dimostra ancora una volta di essere, soprattutto, un sindacato di pensionati e un sindacato che tutela solo chi ha un lavoro a tempo indeterminato, mentre, al di la delle chiacchiere, trascura i giovani.

Infatti, quota 100, e qualunque nuovo assetto del sistema pensionistico che costasse una somma simile a quanto è costata quota 100, impedirebbe, tra l’altro, di destinare le necessarie risorse finanziarie per favorire l’inserimento lavorativo dei giovani.

E’ giusto che venga ampliata la platea di quanti svolgono lavori cosiddetti usuranti e che quindi possano andare in pensione anticipatamente.

Ma provvedimenti che consentano a tutti coloro che hanno determinati requisiti, come quelli previsti da quota 100 o da proposte simili, sono sbagliati, per i motivi che ho già esposto.

Sarebbe necessario, pertanto, che la Cgil e gli altri sindacati mutino le loro posizioni relativamente ai cambiamenti da introdurre, dal 2022, alla possibilità di andare in pensione anticipatamente.

E sarebbe necessario che la Cgil e gli altri sindacati elaborino davvero proposte che favoriscano l’inserimento lavorativo dei giovani.


Attenzione Letta, non cullarti sugli allori

21 ottobre 2021

Nelle elezioni comunali, recentemente svoltesi, il centrosinistra, e in primo luogo il Pd, ha vinto e, di conseguenza, il centrodestra ha subìto una cocente sconfitta. Ma non per questo l’esito delle elezioni politiche, che si dovrebbero tenere nel 2023, anche se non si può escludere una loro anticipazione al 2022, sarà scontato. Tutt’altro.

Quindi non necessariamente il centrosinistra vincerà anche le prossime elezioni politiche.

Per vari motivi.

A parte che ci sono dei precedenti da tenere presenti, il più noto dei quali è rappresentato dalla netta vittoria del centrosinistra nelle elezioni amministrative del 1993 a cui poi è seguita la vittoria di Berlusconi e del centrodestra nelle elezioni politiche del 1994.

Fra l’altro, le caratteristiche delle elezioni comunali sono diverse da quelle delle elezioni politiche. Nelle prime contano molto i candidati a sindaco e poi c’è il ballottaggio tra i due candidati con più voti, che non hanno raggiunto la maggioranza dei consensi nel primo turno.

A parte questo, vi sono delle specificità delle elezioni comunali appena svoltesi.

In primo luogo il forte astensionismo.

E’ possibile che una parte consistente di quanti si sono astenuti potrebbero alle prossime elezioni politiche votare per il centrodestra, anche se una parte degli astensionisti hanno probabilmente votato in passato per il movimento 5 stelle.

Inoltre, è possibile che il centrodestra, in occasione delle prossime elezioni politiche, si compatti e si dimostri molto più unito di quanto non sia avvenuto nelle recenti elezioni comunali.

Del resto è improbabile, nonostante le differenze di linea politica manifestatesi nell’ultimo periodo, che Forza Italia si sganci dal centrodestra per andare a costituire un partito o un’aggregazione di partiti di centro, considerando fra l’altro che uno dei più importanti risultati delle elezioni comunali è rappresentato dal riemergere di un netto bipolarismo, soprattutto dovuto alla notevole diminuzione dei consensi rivolti al movimento 5 stelle, fenomeno che a mio avviso è strutturale (il movimento 5 stelle potrebbe nel prossimo futuro anche scomparire o quanto meno dovrebbe essere fortemente ridimensionato).

Poi, il cosiddetto “campo largo” a cui tiene molto Enrico Letta, il segretario del Pd, l’ampia coalizione di centrosinistra, da Fratoianni a Calenda, come spesso si afferma, non sarà di facile costituzione.

Quindi il Pd che si è dimostrato il punto di riferimento del centrosinistra, e che lo sarà anche in occasione delle prossime elezioni politiche, non dovrà cullarsi sugli allori.

Dovrà continuare (o iniziare?) un forte processo di cambiamento tendente soprattutto a rafforzare i propri legami con quelle componenti della società che si sono allontanate, da tempo, dal centrosinistra, e che in passato hanno votato per il centrodestra e che, nelle elezioni comunali, si sono gran parte astenute.

Quindi il Pd e il centrosinistra deve rivolgersi con particolare attenzione a coloro che si sono astenuti, tenendo conto, fra l’altro, che nelle elezioni politiche il tasso di astensionismo è inferiore a quello che si verifica in occasione delle elezioni comunali.

Invece, cullarsi sugli allori sarebbe fatale e favorirebbe la vittoria del centrodestra nelle prossime elezioni politiche.


Inaccettabile lo stop al processo Regeni

18 ottobre 2021

Il processo per l’uccisione di Giulio Regeni, presso il tribunale di Roma, è stato bloccato dai magistrati della Corte d’Assise perché i presunti colpevoli non sono stati informati formalmente del loro rinvio a giudizio e quindi dell’inizio del processo a loro carico.

Gli imputati indicati dalla procura della Repubblica di Roma sono quattro egiziani, agenti di polizia e dei servizi segreti, i cui indirizzi non sono stati volutamente comunicati dalle autorità competenti dell’Egitto, proprio per impedire l’effettuazione del processo.

Un giudice delle indagini preliminari aveva ritenuto che, data la notevole risonanza mediatica del caso Regeni, anche in Egitto, i quattro indagati fossero comunque informati dell’inizio del processo.

La corte d’assise di Roma, presso la quale doveva svolgersi il processo, non è stata dello stesso avviso.

La scelta della corte d’assise è stata, a mio avviso, sbagliata, perché era evidente che i quattro indagati non potevano non sapere del processo e perché era altrettanto evidente che di proposito le autorità egiziane non hanno comunicato i loro indirizzi.

La decisione dei magistrati romani è l’ennesima dimostrazione della perdita di credibilità di una parte consistente della magistratura italiana, di cui ho già scritto in un precedente post.

Stupisce anche il silenzio pressocchè totale, relativamente alla decisione dei magistrati romani, da parte di esponenti del governo e dei partiti.

Evidentemente, io credo, la volontà di non peggiorare le relazioni con le autorità egiziane hanno avuto ancora la meglio rispetto alla necessità di fare giustizia, una volta per tutte, per l’assassinio di Giulio Regeni.

Peraltro il governo italiano si era costituito parte civile nel processo, ormai bloccato.

A questo punto cosa si può fare?

Cosa può fare soprattutto il governo italiano?

Innanzitutto deve promuovere forti pressioni nei confronti del governo egiziano affinchè siano forniti gli indirizzi degli imputati per poter inviare una comunicazione formale del loro essere indagati.

Inoltre il governo deve verificare se nell’ambito dei decreti attuativi della riforma della giustizia si possa prevedere, esplicitamente, che in un caso come quello del processo Regeni, sia consentito comunque di dare inizio al processo.

Resta il fatto che, a mio avviso, anche con la normativa vigente, i magistrati della corte d’assise di Roma avrebbero potuto iniziare il processo.

Sarebbe utile, però, che la mobilitazione dei cittadini italiani a sostegno della giusta esigenza di fare giustizia sul caso Regeni sia molto più ampia di quanto avvenuto fino ad ora.

Io credo, infatti, che le responsabilità di quanto avvenuto fino ad ora in Italia circa il caso Regeni siano plurime e che non siano addebitabili esclusivamente al nostro governo e ai partiti.


Perchè abolire la pena di morte ovunque

14 ottobre 2021

La pena di morte non è stata ancora abolita in tutti i Paesi del mondo. E’ ancora prevista in circa un terzo dei Paesi. Nel 2020 Amnesty International ha registrato 483 esecuzioni in 18 Stati, con una diminuzione del 26% rispetto alle 657 esecuzioni registrate nel 2019. La maggior parte delle esecuzioni si è verificata, nell’ordine, in Cina, Iran, Egitto, Iraq e Arabia Saudita.

Perchè, secondo Amnesty International che da sempre si oppone incondizionatamente alla pena di morte, deve essere abolita dappertutto?

Per diversi motivi.

La pena di morte viola il diritto alla vita. 

La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l’abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.

La pena di morte è una punizione crudele e disumana. 

La sofferenza fisica causata dall’azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato. Sebbene le autorità dei Paesi mantenitori continuino a cercare procedure sempre più efficaci per eseguire una condanna a morte, è chiaro che non potrà mai esistere un metodo umano per uccidere.

La pena di morte non ha valore deterrente. 

Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.

La pena di morte è un omicidio premeditato dello Stato. 

Eseguendo una condanna a morte, lo Stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell’uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli Stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni.

La pena di morte è sinonimo di discriminazione e repressione. 

Nelle mani di regimi autoritari, la pena capitale è uno strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici.

La pena di morte non dà necessariamente conforto ai familiari della vittima. 

Lontana dal mitigare il dolore, la lunghezza del processo non fa altro che prolungare la sofferenza dei familiari della vittima, fino alla conclusione dove una vita viene presa per un’altra vita, in una forma di vendetta legalizzata.

La pena di morte può uccidere un innocente. 

Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. In alcuni Paesi, il segreto di Stato che circonda la pena capitale impedisce una corretta valutazione di questo fenomeno.

La pena di morte infligge sofferenza ai familiari dei condannati. 

La pena capitale ha effetto sulla famiglia, sugli amici e su tutti coloro che sono vicini al condannato a morte.

La pena di morte nega qualsiasi possibilità di riabilitazione. 

Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’uso della pena di morte nega la possibilità di riabilitazione, di riconciliazione e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine.

La pena di morte non rispetta i valori di tutta l’umanità.

I diritti umani sono universali, indivisibili e interdipendenti. Derivano da molte e diverse tradizioni nel mondo e sono riconosciuti da tutti i membri delle Nazioni Unite come standard verso i quali hanno accettato di conformarsi.

Non posso che condividere tali motivazioni e auspico che, progressivamente, la pena di morte sia abolita in tutto il mondo.


Sarà stagflazione?

11 ottobre 2021

In molti Paesi sviluppati, tra i quali l’Italia, si sta manifestando un aumento dei prezzi, determinato soprattutto dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici e delle materie prime. Alcuni osservatori stanno ipotizzando che potrebbe determinarsi di nuovo un fenomeno che diversi anni fa, negli anni 70 del precedente secolo soprattutto, è avvenuto alcune volte: inflazione e ristagno economico, ristagno delle attività produttive.

Il ristagno economico, l’arrestarsi quindi della crescita del Pil, potrebbe essere causato dal modificarsi delle politiche monetarie delle banche centrali che, per contrastare l’inflazione, potrebbero cessare gli interventi espansivi ed adottare invece politiche restrittive.

Tale scenario non è condiviso da tutti gli economisti, anzi per ora solo una parte di essi lo prevedono.

Ma, nell’ambito delle banche centrali, i “falchi”, coloro che ritengono necessario adottare politiche monetarie restrittive, stanno già sostenendo che tali politiche dovrebbero essere attuate subito.

In realtà, la discussione si sta manifestando circa la natura degli incrementi dei prezzi. Infatti per ora tali aumenti vengono considerati da molti temporanei, determinati da fattori inerenti l’offerta non la domanda, e che nei prossimi mesi dovrebbero esaurirsi.

Ci si attende soprattutto che nei prossimi mesi vi sia una maggiore disponibilità di prodotti energetici che determinerebbe una riduzione dei loro prezzi.

E se la natura degli incrementi dei prezzi fosse davvero temporanea non sarebbe opportuno modificare adesso le politiche monetarie in senso restrittivo e quindi la stagnazione non si verificherebbe.

Io credo che sia valida l’opinione di quanti avvalorano la tesi della natura temporanea degli aumenti dei prezzi in questione.

Può essere utile comunque riportare alcune parti dell’articolo di Rony Hamaui, pubblicato di recente su www.lavoce.info e dedicato a questi temi.

Rony Hamaui rileva soprattutto le differenze tra la situazione attuale e quella che caratterizzo gli anni ’70 del secolo precedente spesso contraddistinto appunto dalla stagflazione.

“La situazione di oggi, tuttavia, sembra per molti aspetti diversa da quella degli anni Settanta.

Da un lato, usciamo dalla più pesante deflazione degli ultimi settanta anni e la ripresa appare vigorosa anche se incerta.

In molti Paesi la capacità occupata rimane ancora sotto i livelli precrisi, mentre è ripartita una nuova fase d’investimenti che è destinata a incrementare l’offerta e aumentare l’efficienza produttiva.

Inoltre, le banche centrali godono, almeno nei paesi avanzati, di un’indipendenza e di una credibilità che certamente non avevano negli anni Settanta.

Dall’altro, oggi i bilanci pubblici, ma anche privati, presentano livelli di debito da economia di guerra, che necessitano non solo di bassi tassi d’interesse e di una forte crescita ma anche di un po’ d’inflazione.

Solo così il debito accumulato risulta sostenibile, soprattutto se rapportato al Pil nominale.

Si spiega così l’imbarazzo delle banche centrali nell’abbandonare gli straordinari stimoli che hanno dovuto adottare per contrastare la peggiore epidemia dell’ultimo secolo, ma ciò pone in discussione la loro effettiva indipendenza.

In fin dei conti, è probabile che non assisteremo a una forte e duratura stagflazione, ma il rischio che l’economia mondiale rallenti e che una moderata inflazione duri più a lungo del voluto è certamente da mettere in conto.

Di qua la necessità del governo Draghi di accelerare le riforme previste dal Recovery Plan e di augurarsi che la Banca centrale europea non legga il suo mandato alla stabilità dei prezzi in maniera rigida”.


L’astensionismo è il risultato più importante

7 ottobre 2021

I risultati delle elezioni comunali, svoltesi alcuni giorni fa, in primo luogo quelli dei candidati a sindaco e dei diversi partiti, sono stati oggetto di notevole attenzione da parte dei media. Minore attenzione, anche se superiore a quanto avvenuto in passato, è stata rivolta alla forte crescita dell’astensionismo.

Io credo, invece, che la crescita dell’astensionismo può essere considerata anche più importante degli altri risultati.

Nel complesso hanno votato circa il 55% degli aventi diritto al voto, con una riduzione di oltre il 5% rispetto alle elezioni comunali del 2016 e nelle grandi città hanno votato anche meno del 50% degli elettori.

La crescita dell’astensionismo non è un fenomeno nuovo né contraddistingue solo il nostro Paese.

Ma con le elezioni del 3 e del 4 ottobre si è raggiunto un record, ovviamente negativo.

Indubbiamente vi sono delle cause specifiche e forse non ripetibili in futuro: gli effetti della pandemia ad esempio.

Ma altre cause potranno manifestarsi anche in futuro.

Peraltro, nelle grandi città, l’astensionismo è stato più elevato soprattutto nelle zone con maggiore presenza di ceti popolari.

Il fenomeno dell’astensionismo, inoltre, non può essere interpretato esclusivamente come crisi della politica ma, come alcuni attenti osservatori hanno già rilevato, come crisi della democrazia.

Infatti una vera democrazia ha bisogno di una democrazia rappresentativa il più possibile forte, non debole.

Ci sono anche altre forme di democrazia, ad esempio la democrazia diretta, che, tramite i referendum, sembra avere assunto un maggiore peso, considerando, relativamente ai referendum, il notevole numero di firme raccolte per quelli sull’eutanasia e sulla cannabis, anche se in questi casi ha svolto un ruolo importante la possibilità, per la prima volta, di firmare digitalmente.

Ma la democrazia rappresentativa non può che essere considerata la più importante.

E la principale causa dell’estensione del fenomeno dell’astensionismo è rappresentata dalla crescente crisi di fiducia tra partiti e cittadini, dall’affermarsi di alcuni caratteri negativi nell’ambito degli stessi partiti (perdita di una visione generale, scarso radicamento sul territorio).

Quindi si avverte sempre di più la necessità di procedere ad una riforma dei partiti che, però, non può essere attuata solamente dagli attuali gruppi dirigenti ma che deve essere richiesta, e forse imposta, dagli stessi cittadini.

Potrebbe anche essere utile attuare quella parte della Costituzione che prevedeva l’approvazione di leggi che regolassero le modalità di funzionamento dei partiti, rimasta fino ad ora inattuata.

Per la verità, avvisaglie della profonda crisi che caratterizza i partiti in Italia da tempo si erano manifestate. L’esempio più evidente il loro “commissariamento” con la nascita del governo presieduto da Mario Draghi.

Ma non si può continuare in questo modo.

Attendere, passivamente, che, elezione dopo elezione, l’astensionismo si accresca sempre di più. A quel punto la crisi della democrazia, connessa, come già ho notato, a quel fenomeno, diventerebbe ancora più preoccupante di quanto non lo sia già.

Quindi affrontare con decisione la crisi dei partiti, tramite una loro profonda riforma, è, senza dubbio, un obiettivo prioritario da perseguire, relativamente al sistema politico italiano.


I magistrati sempre meno credibili

4 ottobre 2021

La pesante e apparentemente ingiustificata sentenza nei confronti di Mimmo Lucano rende, a mio avviso, sempre meno credibile una parte almeno, però piuttosto consistente, dei magistrati italiani. A tale conclusione si perviene anche considerando il ruolo più che criticabile assunto dalle “correnti” dei magistrati per la scelta degli incarichi nelle diverse procure e tribunali. Poi, va considerata 888l’inefficienza che si riscontra in una parte dei tribunali.

In passato, soprattutto nel periodo di “Mani pulite”, la magistratura riscuoteva una grande credito nell’opinione pubblica italiana.

Molti la ritenevano l’istituzione più credibile fra tutte le altre, a cui facevano affidamento parti rilevanti della società italiana. Tanto che si sosteneva che la magistratura si era assunta, di fatto, un potere sostitutivo nei confronti soprattutto della politica, svolgendo alcuni compiti che non avrebbe dovuto svolgere ma che era costretta a svolgere.

Con il passare degli anni, le critiche nei confronti dei magistrati sono, progressivamente e fortemente, aumentate.

A parte alcune sentenze, come quella nei confronti di Mimmo Lucano, molto discutibili, devastante è stato il trasformarsi delle “correnti” dei magistrati in centri di potere la cui funzione, pressocchè esclusiva, era quella di esercitare pressioni affinchè i loro aderenti assumessero incarichi di notevole rilievo nelle procure e nei tribunali, anche perché una parte dei componenti del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, sono magistrati che fanno riferimento ai vertici delle “correnti” di appartenenza.

Le “correnti” dei magistrati, infatti, con il tempo hanno perso la loro iniziale connotazione ideale, che le distinguevano fra di esse per una diversa concezione del ruolo e degli obiettivi della magistratura, per diventare appunto soprattutto, se non esclusivamente, centri di potere, tendenti a favorire i loro aderenti.

L’inchiesta che ha visto al centro Luca Palamara è stata, a tale proposito, emblematica.

Inoltre, parte delle inefficienze dei tribunali sono addebitabili ai singoli magistrati, altrimenti non si comprenderebbe perché i tempi della giustizia siano molto diversi nei vari tribunali che operano in Italia.

Poi, i magistrati delle cosiddette supreme corti quali la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, ad esempio, godono di privilegi, economici e nono solo, indubbiamente eccessivi.

Quanto la già approvata riforma della giustizia penale e quella che, nei prossimi mesi dovrà essere varata, della giustizia civile quanto modificheranno in meglio l’operato dei magistrati italiani rendendoli più credibili?

Staremo a vedere.

Quello che è certo è che attualmente la credibilità dei magistrati italiani si è fortemente ridotta e che sarebbe necessario anche un processo di autoriforma da parte loro.