La sessualità dei disabili

31 marzo 2014

Tra pochi giorni uscirà nelle sale cinematografiche italiane il film “The special need”, una docu-fiction, opera prima, di Carlo Zoratti, che ha per protagonista un giovane autistico che ha un desiderio molto speciale: fare l’amore. Giuseppe Manfrè ha intervistato il regista.

L’intervista di Giuseppe Manfrè è stata pubblicata su www.redattoresociale.it.

“In occasione della giornata mondiale dell’autismo (2 aprile) esce in tutte le sale italiane il coraggioso film ‘The special need’, docu-fiction on the road che ha per protagonista Enea, un giovane autistico che ha un desiderio molto speciale: fare l’amore…

I film racconta un argomento tabù ed è stato accolto da una vera ovazione all’ultimo festival di Locarno.

Il 2 aprile il film sarà in tutte le sale italiane…

Il regista, classe 1982, racconta il suo lavoro in questa intervista.

Prima di iniziare il film cosa sapeva sul tema che avreste affrontato?

Zero! Prima di decidere di affrontare questa storia non ne sapevamo niente. Poi il processo produttivo del film è stato molto lungo, quindi durante questo percorso abbiamo letto, parlato e incontrato così tante persone che siamo diventati via via più consapevoli di quello che stavamo facendo; ma ripeto, è stato un po’ come imparare a costruire un aereo mentre sta già volando. Alla fine penso di essere oggi molto consapevole avendo anche fatto dagli errori che poi sono diventati parte integrante della storia.

Avete mai avuto paura che avventurarvi in un territorio così intimo avrebbe potuto modificare il vostro rapporto con Enea?

Durante il periodo di riprese la sensazione più forte che mi ha accompagnato era sentirmi diviso fra due ruoli completamente diversi. Da una parte spinto dall’amicizia che ho con Enea volevo proteggerlo da eventuali situazioni traumatiche. Dall’altra come regista avevo il compito di documentare, quindi il legame etico che mi legava in quel momento ad Enea si modificava di volta in volta subendo forti pressioni. Per esempio quando Enea rincorre ossessivamente le ragazze in strada noi riprendevamo, ma dentro qualcosa si spezzava. Questo ha messo a dura prova il nostro rapporto con Enea, ma è anche riuscito a renderlo più forte.

Come possono il cinema e l’arte contribuire a superare la barriera di una tematica considerata largamente come un tabù?

Lo scopo dell’arte per me è quello di mettere in discussione la moralità. La cosa che mi affascina di più è quando una storia che affronta un tema moralmente discutibile riesce a ribaltare le prospettive precostituite. In ‘Cuore di tenebra’ l’obiettivo del protagonista è uccidere il traditore Kurt e in qualche modo tu desideri questo omicidio, desideri anche che sia feroce, perché si tratta dell’aberrazione della natura umana; ma l’autore riesce a ribaltare profondamente tutte le prospettive e allora una storia supera la dimensione del semplice intrattenimento per assumere una funzione sociale.

ll film è stato presentato a Locarno. Qual è stata la reazione del pubblico?  

Potentissima. Eravamo in una sala molto grande da circa 2.000 persone ed era piena. Siamo stati presentati alla fine del festival in una sezione, Cineasti del presente, che è anche una sezione in cui si esplora il cinema più audace, che richiede una grande soglia d’attenzione. In un certo senso il nostro film rispetto agli altri sembrava quasi come Tutti pazzi per Mary; forse anche per questo Il pubblico ha reagito con una standing ovation piena di applausi e abbracci per Enea.

A chi si rivolge il film?

A chi non gliene frega niente di disabilità. Alle persone comuni. Ho avuto due target di riferimento: i compagni di bevute di mio zio e mia mamma. Volevo raccontare una storia in cui ci fosse tutta la poesia e l’emotività che ogni mamma ricerca, e insieme volevo indirizzarla a tutte quelle persone che troverebbero una soluzione, alla sessualità e alla disabilità, nel modo più becero e pratico possibile, per potergli far vedere come ci si può relazionare ad una persona disabile e sentirsi alla pari.

Infatti questo aspetto è una delle cose più preziose del tuo film. Al termine del viaggio si capisce che Enea e i suoi compagni in fondo non sono poi così diversi: ricercano tutti l’amore.

Sì, essere riuscito a trasmettere questa sensazione è una cosa del film che mi rende molto orgoglioso.

In Italia, sulla traccia delle associazioni costituite in Germania, stanno nascendo progetti di assistenza sessuale per i disabili. Penso agli sforzi del blogger Max Ulivieri, egli stesso disabile. A che punto siamo nel nostro Paese?

So di un progetto a Bologna che sta cercando di sviluppare un percorso formativo per coloro che vogliono diventare assistenti sessuali. In Italia però ci sono dei grossi limiti soprattutto in termini legislativi; basti pensare che chiunque abbia dei rapporti sessuali con chi ha una disabilità intellettiva, come Enea, commette un reato molto simile a chi ha rapporti con minori. Quindi allo stato attuale la legge non permette di offrire un servizio del genere. Lasciando da parte poi il discorso sul favoreggiamento della prostituzione; infatti se un ragazzo con una disabilità intellettiva non riesce da solo ad organizzare un incontro, chiunque lo aiuti, o faccia da semplice intermediario, è imputabile di favoreggiamento. Per cui ci sono delle caratteristiche legislative in Italia che rendono molto difficile quello che in altri Paesi è già una realtà di fatto”.


Gli ospedali psichiatrici giudiziari ancora non chiudono

30 marzo 2014

Secondo il viceministro della Giustizia è un’ipotesi realistica prorogare di un anno la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). E il capo del Dap (Dipartimento amministrazione giudiziaria Giovanni Tamburino potrebbe essere chiusa una struttura ogni sei mesi. Il presidente del Senato Pietro Grasso ha dichiarato che il traguardo della chiusura di tutti gli Opg è ancora lontano.

L’attuale situazione degli Opg e soprattutto il loro futuro viene analizzato in un articolo pubblicato su www.superabile.it.

“Prorogare la chiusura degli Opg di un anno, ma con dei precisi paletti da rispettare.

È questa ‘una delle ipotesi’ allo studio secondo il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, intervenuto durante un convegno sugli Opg al Senato.

Per Costa si tratta di una ‘ipotesi realistica’. ‘Per quel che riguarda la Giustizia – ha affermato Costa a margine del convegno -, siamo per mantenere una proroga limitata, ma con dei contenuti e che non sia semplicemente uno spostamento in avanti del termine’.

Il viceministro, infine, ha affermato che, qualora si decida per una proroga di questo tipo, ci sarà un provvedimento d’urgenza. ‘Il veicolo lo vedrà l’ufficio legislativo – ha spiegato Costa -, sarà un provvedimento molto rapido’.

Sui tempi non si sbilancia il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, che conferma, comunque la possibilità di un decreto presentato in tempi brevi. ‘Quasi sicuramente sarà un decreto – ha detto De Filippo – con un meccanismo che consenta di guardare alla programmazione e immettere elementi di innovazione nel sistema del superamento degli Opg’.

Il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino ha presentato i dati sulle persone presenti negli Opg e, rigettando l’ipotesi di una proroga triennale, ha aperto all’ipotesi della chiusura di una struttura ogni sei mesi.

‘Nel 2010 – ha spiegato – erano presenti negli Opg 1.294 persone. Sono andate scendendo in tutti gli anni successivi per arrivare oggi a 875. C’è una differenza di 400 unità e rispetto a 800 è il 50%, che rispetto a 1.200 è comunque una riduzione di un terzo. L’evidenza dei numeri ci dice che stiamo procedendo nella direzione corretta’.

Riguardo al rinvio nella chiusura, ‘devo dire che la prospettiva di una seconda proroga non mi piace’ – ha affermato Tamburino. ‘E mi piace tanto meno una proroga che si prospetti di durata quasi triennale’.

Per Tamburino, però, alla proroga occorre dare delle scadenze da rispettare.

‘Se considerazioni di realismo conducono a considerare la proroga a questo punto sia un male ineluttabile – ha spiegato Tamburino -, vorrei che il legislatore fissasse talune scadenze affinché nel corso di questo lungo periodo si abbia una progressiva attuazione del trasferimento.

Vorrei che con cadenza almeno semestrale si ponessero alcuni traguardi parziali per consentire la verifica dei progressi compiuti e degli eventuali ritardi.

Si potrebbe persino pensare che la previsione del commissariamento, già esistente nella normativa attuale, fosse collegata in automatico dal legislatore a inadempimenti’.

Per Tamburino, infine, una strada verso la chiusura definitiva degli Opg potrebbe essere anche quella di una chiusura graduale. ‘Qualcuno ipotizzava ogni sei mesi la chiusura di uno dei sei Opg, perché in questo modo, l’esperienza delle regioni più avanzate, potrebbe ricadere positivamente su quelle meno rapide’.

‘Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno hanno innescato un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari’.

Lo dice il presidente del Senato, Pietro Grasso, intervenendo al convegno ‘Impegni per il superamento degli Opg per non sprecare una occasione di crescita civile del Paese’, a palazzo Giustiniani.

Grasso sottolinea che ‘il processo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato avviato’. Inoltre, aggiunge, ‘la chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014. Eppure, il traguardo è ancora lontano’.

‘Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva – dice ancora il presidente del senato- è necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell’intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza’.

‘Per completare l’iter – prosegue Grasso – è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato.

È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli Opg, stabilendo quali strutture specializzate, nell’ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle. Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle istituzioni’”.


L’infanzia trascurata, necessarie maggiori risorse finanziarie

26 marzo 2014

Si arriva all’appuntamento di Bari (27-28 marzo) con la conferenza nazionale per l’infanzia senza osservatorio e piano per l’infanzia. E quindi le associazioni della Rete “Batti il cinque!” chiedono al governo Renzi un’inversione di marcia.

Della prossima conferenza sull’infanzia si occupa un articolo pubblicato su www.redattoresociale.it.

“Perché la conferenza nazionale per l’infanzia e l’adolescenza non resti un atto dovuto è indispensabile rimettere in funzione l’osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e in tempi brevi varare un nuovo piano nazionale. Ma più di tutto destinare risorse adeguate, senza le quali sarebbe impossibile tradurre in realtà le indicazioni del piano.

Le associazioni lo chiedono da tempo, denunciando una difficoltà cronica a mettere a sistema le politiche per l’infanzia e tagli costanti. Lo hanno chiesto, solo pochi giorni fa, anche la presidente della commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, Michela Vittoria Brambilla, e il garante nazionale per l’infanzia, Vincenzo Spadafora. Negli intenti la conferenza nazionale su infanzia e adolescenza, ormai alle porte (Bari, 27-28 marzo), riparte proprio da qui, mettendo in rete operatori, associazioni e istituzioni per una consultazione ampia, da cui partire per la formulazione di questo documento programmatico.

A due giorni dall’avvio della Conferenza, a cui sono attese numerose persone, tra rappresentanti di associazioni del terzo settore e del volontariato, esperti e operatori, e che declina temi delicati e importanti in un programma ampio e attento, mancano ancora conferme sulla presenza dei ministri.

Ci saranno quello del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, la presidente Brambilla e il garante Spadafora e per la conferenza dei presidenti delle Regioni Teresa Marzocchi. In forse il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini.

Osservatorio e piano mancano da tempo. Il primo, organismo competente a predisporre i contenuti del piano nazionale, composto dai rappresentanti delle istituzioni, associazioni ed esperti in materia di infanzia e adolescenza, è fermo dal 2012. L’ultimo suo atto è stato il monitoraggio del terzo piano nazionale, in cui, tra l’altro, si denunciava il mancato finanziamento delle azioni previste. A giugno 2013 tutto sembrava essere pronto per il suo rinnovo e l’allora ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, ne annunciava la ricostituire al più presto, insieme a un gruppo di lavoro sul monitoraggio dei temi sociali, chiamando a raccolta gli esperti del settore. Ma nulla di fatto.

Spetterà ora al presidente del consiglio, Matteo Renzi, siglare il nuovo decreto di ricostituzione e al suo governo reperire le risorse necessarie. La volontà politica però c’è, come conferma a Redattore sociale Liviana Marelli, della rete ‘Batti il cinque’: ‘Sappiamo che su questo fronte qualcosa si sta muovendo, lo sappiano dalle richieste di nomine che sono arrivate, già alcuni mesi fa, ad alcune associazioni’. Se la conferma del suo rinnovo venisse proprio da Bari ‘sarebbe un bell’annuncio’. L’ultimo piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza è entrato in vigore nel 2011 (quello precedente era ‘’scaduto’’ nel 2004), varato dopo un braccio di forza tra osservatorio e Governo, allora rappresentato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e dal sottosegretario con delega alle politiche per la famiglia, Carlo Giovanardi, sul documento definitivo.

Al centro delle polemiche, tra l’altro, anche la mancanza di riferimenti nel testo definivo ai livelli essenziali.  E’ questo un nodo centrale per le associazioni come sottolinea Marelli, secondo cui la ‘perenne e costante’ diminuzione di risorse è legata proprio al fatto che in assenza di livelli essenziali è impossibile fissare un limite di prestazione e servizi  sotto il quale non si può andare.

Ma sarà importante anche capire quante risorse saranno a disposizione del piano e più in generale  delle politiche dell’infanzia.

Perché nel frattempo, stando alla fotografia dell’Istat, la situazione dei ragazzi e dei bambini italiani è peggiorata: nel 2012 è in povertà assoluta oltre un milione di minorenni (nel 2011 erano circa 700.000).

Senza risorse ogni piano rimarrà sulla carta, un elenco di buoni intenti. ‘Da questa conferenza ci aspettiamo che si smetta di insistere sulla storia che non ci sono i fondi – sottolinea Marelli – perché gli esperti ci dicono che investire sull’infanzia e sulla famiglie vuol dire risparmiare’.

Al governo Renzi le associazioni della rete chiedono ‘un’inversione di marcia’ e che la conferenza ‘non sia un atto dovuto’”.


Basta con l’austerità

24 marzo 2014

A cinque mesi dalle elezioni europee, i leader sindacali dei 28 paesi Ue si sono riuniti a Bruxelles per lanciare un appello comune: l’ideologia neo-liberista va superata, servono grandi investimenti per l’occupazione e soprattutto occorre interrompere la politica dell’austerità, dell’eccessivo rigore.

In un articolo pubblicato su www.rassegna.it Carlo Caldarini si occupa di quanto discusso in quella riunione.

“L’austerità non funziona, l’ideologia neo-liberista non è una risposta, è urgente aprire un nuovo percorso per l’Europa.

Questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato a Bruxelles da un vertice senza precedenti che ha riunito per la prima volta, alla vigilia del Consiglio europeo e a cinque mesi dalle elezioni europee, i leader sindacali dei 28 paesi Ue. Dal 2009, i salari reali sono diminuiti in 18 dei 28 Stati membri: del 23% in Grecia, del 12% in Ungheria, oltre il 6 % in Spagna e Portogallo e più del 4% nei Paesi Bassi e nel Regno Unito.

L’austerità non funziona, ha detto in apertura dei lavori Bernadette Ségol, segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces). Oltre 26 milioni di europei sono disoccupati, 10 milioni in più rispetto al 2008. E quasi 8 milioni di giovani non lavorano, né studiano, né seguono una qualsiasi formazione.

La Ces mette sul piatto una proposta: un investimento di 250 miliardi in 10 anni, che genererebbe 11 milioni di nuovi posti di lavoro. 250 miliardi sono troppi? È solo un quarto di quanto è stato speso per salvare le banche e un quarto di ciò che si perde ogni anno a causa di evasione e frode fiscale.

Il Commissario europeo per l’occupazione e gli affari sociali Lásló Andor, ha difeso le politiche della Commissione europea. Un discorso, il suo, caratterizzato da una visione strumentalmente ottimistica, non tanto della crisi, quanto delle risposte politiche messe in piedi dall’Europa. Ciò nonostante, anche secondo lui la fase di crescita che stiamo intravedendo, è unacrescita senza occupazione.

Il primo panel di discussione si è concentrato innanzitutto sulla valutazione delle politiche dell’ultimo quinquennio, dal punto di vista delle diverse realtà nazionali, davvero differenti tra loro eppure unite dalle medesime aspettative e preoccupazioni. Al centro del dibattito, la crisi greca, le politiche della Troika, le reazioni di protezionismo e di chiusura verso i lavoratori migranti.

Il secondo panel di discussione è andato alla ricerca delle possibili alternative sindacali per i prossimi 5 anni: dialogo sociale, politiche fiscali più eque, trasparenza dei redditi da capitale, investimenti, occupazione e welfare. E soprattutto, politiche di sinistra, in vista delle prossime elezioni europee. Credevamo che la carta di Nizza fosse un progetto di eguaglianza, ha concluso Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, e vediamo invece oggi un’Europa delle diseguaglianze.

Non basta dire no all’austerità, bisogna dire che le politiche neo-liberiste non possono governare l’Europa. Abbiamo un’altra idea della politica, e dell’Europa. E dobbiamo scongiurare il rischio di avere, a maggio 2014, un parlamento a maggioranza antieuropea e populista.

Il 4 aprile, a Bruxelles, affermeremo che il nostro piano del lavoro, quello per cui chiediamo 250 miliardi di euro, rappresenta un’altra idea dell’Europa.

Cambiare le politiche economiche, ma soprattutto le politiche fiscali dell’Europa, questo è il nostro messaggio. Le politiche fiscali servono anche per cambiare le condizioni dei lavoratori. Non possiamo essere al tempo stessa l’Europa dei salari minimi, e l’Europa in cui il lavoro vale 25 centesimi.

Questa è un’Europa che vuole contrapporre tra loro i lavoratori dei diversi paesi. La nostra voce, invece – ha aggiunto Camusso – è quella di un sindacato che protegge tutti i lavoratori, di tutti i paesi.

Che non può dire noi usciamo dall’Europa.

Cosa vuol dire oggi proteggere il modello sociale europeo? Vuol dire creare lavoro, offrire una prospettiva ai giovani europei. E la prospettiva non può essere vagare in giro per l’Europa in cerca di lavoro. Una prospettiva che deve essere verde e sostenibile, e che non può emergere dalle politiche economiche liberiste.

È stato detto giustamente che occorrono politiche di sinistra, e che anche la sinistra deve fare autocritica.

Ma che vuol dire politiche di sinistra? Noi le riassumiamo in tre parole: investimenti, lavoro, welfare.

Anche secondo Reiner Hoffmann, nuovo presidente del Dgb tedesco, il discorso del commissario Andor non ha convinto affatto.

Non è questa l’Europa che vogliamo. La Commissione europea di Barroso non ha preso alcuna iniziativa sul dialogo sociale. Siamo completamente fermi. E qual è la strategia contro la disoccupazione dei giovani? La medicina che propone la Commissione non serve a curare, ma a creare maggiore recessione.

Noi oggi abbiamo dimostrato che noi, sindacati della Ces, siamo in grado di formulare proposte e risposte. Dobbiamo convincere i governi degli stati membri a investire in politiche fiscali di crescita.

Abbiamo bisogno, per questo, anche di maggiore armonizzazione. Armonizzazione, ad esempio, delle regole fiscali delle imprese. E non è una risposta sufficiente la mobilità. Non è un successo se 200.000 giovani del Portogallo si spostano per cercare lavoro in Europa.

Noi ci mobiliteremo il 4 aprile per dire quale Europa vogliamo. Perché noi vogliamo più Europa sociale”.


Non saranno toccate indennità e pensioni dei disabili.

22 marzo 2014

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, dopo il summit dei leader Ue a Bruxelles, ha rassicurato quanti pensavano che potessero essere diminuite le indennità e le pensioni dei disabili. Ha infatti dichiarato: “Andremo ad aggredire solo l’area della falsa invalidità”. E ha annunciato: immigrazione e disoccupazione giovanile tra le priorità del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea.

Di queste dichiarazioni di Renzi riferisce Maurizio Molinari in un articolo pubblicato su www.redattoresociale.it.

“Non saranno toccate le indennità di accompagnamento e le pensioni dei disabili.

A dare queste rassicurazioni il presidente del Consiglio Matteo Renzi parlando ai giornalisti dopo il summit dei leader Ue tenutosi a Bruxelles.

E sulla spending review, Renzi ha detto di essere soddisfatto dalle analisi tecniche del commissario Cottarelli, ma meno del modo in cui sono stati presentati i risultati.

‘Su alcune cose  non sono molto convinto’, ha dichiarato il premier.

‘L’idea di andare a chiedere un contributo a chi guadagna il giusto con una pensione di duemila euro, ad esempio, non mi trova favorevole.

Diverso è chiedere un sacrificio alle vere pensioni d’oro, quelle chessò di duecentomila euro all’anno.

Gli ottanta euro che andremo a dare in busta paga ai lavoratori non li chiederemo ai pensionati’.

‘Per i disabili – ha aggiunto Renzi – non agiremo su pensioni o indennità di accompagnamento, ma andremo a combattere  le forme di scostamento fra la media delle persone con disabilità a livello nazionale  e i disabili riconosciuti in alcune zone del paese.

In pratica, andremo ad aggredire l’area della falsa invalidità.

Peraltro se si guardano i numeri sono assolutamente non qualificanti sui trentadue miliardi complessivi della review’.

‘Ci sono invece dei settori su cui si può fare ancora di più rispetto a quello che dice Cottarelli’, ha spiegato il premier: ‘ad esempio per quel che riguarda i beni e i servizi della pubblica amministrazione.

Abbiamo decine di centri d’acquisto in Italia, ciascuna istituzione si fa il suo centro d’acquisto e su questo si può risparmiare.

Confermo anche i tagli agli stipendi dei dirigenti pubblici.

Per quanto riguarda le forze armate, bisogna spiegare bene le cose: noi abbiamo un rapporto fra personale amministrativo e forze armate effettive di tre a uno, maggiore a quello di Israele, quindi ci sono margini di manovra per operare tagli in tal senso’.

‘L’Italia – ha continuato Renzi – spende più per gli interessi sul debito che per scuola e università, e dobbiamo invertire la rotta’.

Il premier ha inoltre annunciato che fra le priorità del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, ci saranno l’immigrazione e la lotta alla disoccupazione giovanile (a quest’ultimo tema sarà dedicato un vertice che si terrà a luglio a Torino).

Sulla gestione dei flussi migratori, Renzi ha sottolineato ‘l’importanza del lavoro delle forze italiane che nell’operazione mare nostrum hanno salvato più di quattromila persone’.

‘Nel vertice Ue-Africa del 2 e 3 aprile prossimi, secondo Renzi, sarà fondamentale che l’Unione Europea dia priorità al tema dei flussi migratori.

C’è stata una piena unità di intenti fra noi e i nostri colleghi dei paesi del Mediterraneo’,  ha detto Renzi, che poi ha chiosato: ‘per me il Mediterraneo è assolutamente centrale nella nostra politica estera, e deve essere considerato il cuore dell’Europa e non la frontiera, il centro e non il limite, un luogo da vivere e non una diga da innalzare’”.


Università, su 100 iscritti solo 14 arrivano alla laurea magistrale

19 marzo 2014

I dati del rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario ci dicono che su cento iscritti a un corso di laurea triennale, solo cinquantacinque arrivano alla laurea treinnale e quattordici alla laurea magistrale. Spetta alla politica decidere gli obiettivi dell’università e le risorse per conseguirli.

Il rapporto dell’Anvur viene analizzato in un articolo di Daniele Checchi, pubblicato su www.lavoce.info.

“È stato presentato il primo rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca redatto dall’Anvur, che fotografa in modo lucido e talvolta impietoso lo stato del sistema formativo terziario in Italia.

La struttura del rapporto è articolata in tre grandi sezioni: una relativa all’attività didattica, a partire dalla dotazione di risorse umane e finanziarie, una seconda relativa all’attività di ricerca, a partire dai confronti internazionali e dalla valutazione della qualità della ricerca effettuata dallo stesso Anvur per il periodo 2004-2010, cui segue una terza parte di monitoraggio della riforma in corso…

Ci soffermeremo qui innanzitutto sull’analisi dei percorsi scolastici degli studenti universitari, in combinazione con la contestuale dinamica delle risorse disponibili…

Tenuto conto del fatto che col trascorrere degli anni il destino di una coorte si stabilizza quasi completamente (fatta eccezione per il percorso di studenti fuori corso che completino molto tardivamente la loro carriera), possiamo quindi riconoscere cheper cento centrati nel 2003- (sono gli anni del boom delle iscrizioni a seguito della introduzione della riforma nota come ‘3+2’ o come ‘processo di Bologna’, fortemente voluto dall’allora ministro Berlinguer) dopo nove anni (nel 2012-13) solo poco più della metà ha terminato il suo percorso triennale.

Il sistema universitario italiano è infatti noto per avere tassi di abbandono troppo elevati…

A partire dai dati sull’anagrafe studenti possiamo quindi ricostruire una ‘contabilità degli abbandoni’ di questo tipo: dati 100 studenti che si iscrivono in un corso di laurea triennali, solo 55 conseguono il titolo.

Di questi si iscrivono alla magistrale nel 2012 solo il 47,4% , ovverosia 26 studenti. Anche in questo caso conosciamo i tassi di successo finale a un massimo di otto anni, che è pari al 57,2%. Arriviamo così a quattordici.

Difficile sostenere che il sistema universitario abbia perso il suo grado di selettività sociale di cui molti commentatori e politici rievocavano il ritorno.

Inefficienza o selezione sociale ? Questo sembra essere il dilemma in cui si dibatte l’università italiana, per la quale manca un disegno strategico complessivo.

I dati del rapporto ci forniscono almeno due ordini di informazioni al riguardo:  vi è un leggero trend migliorativo, nonostante le risorse messe a disposizione si siano vistosamente ridotte…

Si nota come i percorsi siano migliorati nel corso dell’ultimo decennio: se tra gli iscritti nel 2003-4 arrivava alla laurea triennale dopo sei anni il 47%, tra gli iscritti del 2006-7 la stessa percentuale è salita al 50% e plausibilmente arriverà al 52-53% nelle coorti più recenti. Un miglioramento medio nazionale di quasi l’1% all’anno non è un fatto trascurabile.

Particolarmente apprezzabile e sorprendente se si considera che si tratta di un miglioramento ottenuto in una fase di riduzione delle risorse disponibili.

Comunque lo si voglia misurare (in termini di numero dei docenti, di spesa per il personale, di rapporto studenti/docenti, di finanziamento del governo centrale), l’università italiana ha visto ridursi le risorse a partire dal 2008 di un ordine compreso tra il 14 e il 20%, a seconda che si utilizzino valori nominali o reali.

Come si possano ottenere miglioramenti di performance (in termini di maggior inclusività studentesca) in presenza di riduzione delle risorse, invecchiamento della forza lavoro e precarizzazione delle nuove assunzioni, può costituire un interessante ‘case study’ dal punto di vista organizzativo.

Si possono tuttavia avanzare alcune ipotesi esplicative al riguardo.

La prima è quella delle riserve accumulate in passato.

Così come le imprese fanno fronte alle fasi di recessione utilizzando fondi di riserva accumulati negli anni di espansione, anche le università potrebbero aver accumulato risorse (in particolare, personale docente) nei primi anni del decennio precedente, durante l’esplosione delle iscrizioni, e ora le utilizzerebbero in modo più efficiente. Deporrebbero a favore di tale ipotesi l’aumentato carico didattico in termini di ore di insegnamento frontale, la riduzione delle sedi e dei corsi universitari.

Una seconda ipotesi, non necessariamente alternativa alla precedente, guarda invece all’incremento di selettività nei confronti degli studenti.

Se aumenta la selezione all’ingresso, la qualità media degli immatricolati si accresce, e si riduce di conseguenza la probabilità di abbandono. Potrebbero essere indici di questo cambiamento i dati sul calo delle iscrizioni, che colpiscono in modo differenziato aree disciplinari e sedi universitarie.

Una terza ipotesi considera infine i comportamenti degli studenti e delle loro famiglie, che finanziano i loro percorsi di studio.

In presenza di recessione e calo dei redditi disponibili, di aumento dei costi di iscrizione e di riduzione del sostegno fornito dai fondi allocati per il diritto allo studio, l’investimento in un corso universitario diventa necessariamente più, ma per questa ragione anche più motivato, riducendosi così lo sbandamento che caratterizza molti studenti al loro primo anno di iscrizione.

Ognuna di queste spiegazioni ha una sua plausibilità. Non tocca ad Anvur scegliere quale sposare. Tocca piuttosto alla politica decidere quale futuro desidera per il sistema universitario italiano, in termini di obiettivi conseguibili con risorse adeguate.

I dati ci dicono che con quello che attualmente si spende, i risultati sono poco incoraggianti sul piano del numero finale di laureati. I Governi che si sono alternati in questi anni hanno espresso opinioni diverse sul loro grado di desiderabilità. Ora, tocca a quello attualmente in carica fare la sua scelta. Ad Anvur va il merito di avere quantificato le alternative sul terreno”.


A 20 anni dall’uccisione di don Peppe Diana

17 marzo 2014

Il 19 marzo 2014 ricorre il 20° anniversario dell’uccisione di don Peppe Diana, giovane sacerdote di Casal di Principe ammazzato dalla camorra nella sua chiesa di S. Nicola di Bari. Cosi si può leggere sul sito dell’associazione Libera: “E’ stata una morte che ha scosso le nostre coscienze, che ha segnato profondamene i nostri cammini ma che comincia a produrre  anche copiosi  frutti, a partire dai beni confiscati alle mafie che su questo territorio, grazie a belle esperienze di giovani cooperative, vengono riutilizzati a scopi sociali restituendoli alla collettività”.

Ecco una breve biografia di don Peppe Diana tratta dal sito www.dongiuseppediana.com.

“Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe da una famiglia di proprietari terrieri.

Nel 1968 entra in seminario, vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Successivamente intraprende gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si licenzia in teologia biblica e poi laurea in filosofia alla Federico II.

Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci) dove fa il caporeparto.

Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa assistente ecclesiastico del gruppo scout di Aversa e successivamente anche assistente del settore foulards bianchi.

Dal 19 settembre 1989 era parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese natio. Successivamente diventa anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza.

Insegnava anche materie letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l’istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta di Aversa.

Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sua chiesa, mentre si accingeva a celebrare messa.

La sua morte non è stata solo la scomparsa di una persona vitale, di un capo scout energico, di un insegnante generoso, di un testimone d’impegno civile: uccidere un prete, ucciderlo nella sua Chiesa, ucciderlo mentre si accingeva a celebrare messa, è diventato l’emblema della vita, della fede, del culto violati nella loro sacralità.

E’ stato il simbolo dell’apice cui può giungere la barbarie camorrista sui nostri territori.

Il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana non possono essere dimenticati.

Per amore del mio popolo, scritto nel 1991 insieme ai sacerdoti della Forania di Casal di Principe; un messaggio di rara intensità e, purtroppo, di grande attualità.

Non dimenticare don Giuseppe Diana significa non solo ricordarlo per quello che era, ma soprattutto testimoniare quotidianamente il suo messaggio d’impegno civile, di lotta alla criminalità organizzata, di costruzione di giustizia sociale nelle comunità locali, d’amore per la propria terra.

C’è ancora bisogno di amare la nostra terra ed il nostro popolo. C’è ancora bisogno di non dimenticare il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana”.


L’anoressia e la bulimia colpiscono 600.000 giovani

17 marzo 2014

Sabato 15 marzo si è svolta la giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare. Cresce l’associazionismo di auto-aiuto tra famiglie. Sono stati diffusi i nuovi dati ministeriali sul fenomeno: insorgenza sempre più precoce, 6 pazienti su 10 hanno anche altre patologie psichiatriche. In un articolo pubblicato su www.redattoresociale.it ci si occupa dei disturbi del comportamento alimentare.

“Ha come simbolo un fiocchetto lilla la riscossa delle famiglie e delle università contro i disturbi del comportamento alimentare, un problema che interesserebbe in Italia circa 600.000 giovanissimi, soprattutto di sesso femminile (solo il 20% maschi, ma in grande crescita).

Il fiocchetto accomuna le tante iniziative che in varie città italiane si sono svolti sabato 15 marzo, nella terza giornata nazionale contro i Dca. Una giornata non ancora riconosciuta ufficialmente a livello ministeriale (come i promotori chiedono vivamente), ma che quest’anno registra, oltre a una crescita di iniziative, anche diverse novità.

Anzitutto la diffusione dei dati nuovi di una ricerca del ministero della Salute durata due anni e basata su quasi 1.400 pazienti tra 8 e 17 anni in sei centri italiani per il trattamento dei Dca.

Ne emerge, tra i tanti aspetti interessanti, che il 60% di questi pazienti è affetto anche da altre patologie di tipo psichiatrico. La ricerca indaga anche i fattori ‘predittivi’ e di rischio (sempre più precoce) di insorgenza del disturbo, e dice anche quali sono i danni irreversibili che possono generarsi.

La riscossa è data dalla nascita imminente di ben tre master universitari sul tema, a Udine, Milano-Bicocca e Padova, ma soprattutto dalla creazione in varie città d’Italia di una rete sempre più fitta di associazioni basate sull’auto-aiuto tra genitori, che cercano così di reagire all’autodistruzione che si trovano a osservare impotenti nei loro figli.

L’equilibrio delle famiglie è infatti letteralmente devastato dalla presenza di un caso di Dca, patologia che assume i volti più disparati e non solo quello (comunque largamente maggioritario) dell’anoressia.

‘Si iniziano viaggi della speranza alla ricerca di risposte efficaci – dicono i promotori di un’associazione umbra -, shopping terapeutici che non fanno che aumentare l’incomprensione di tale fenomeno. Il nostro intento è di non lasciare più nessuna famiglia isolata, di costituire una rete di comunicazione e relazione in grado di garantire il massimo dell’informazione e della risposta’”.


L’Italia del mattone cade a pezzi

12 marzo 2014

Molti edifici italiani cadono a pezzi. Infatti il patrimonio immobiliare del nostro Paese, secondo i dati dell’ultimo rapporto Cresme, è in media decisamente vecchio: tra gli edifici pubblici, il 49% è stato realizzato prima del 1945; tra quelli scolastici, quasi la metà ha da 31 a 50 anni di età; tra le abitazioni, oltre il 60% ha più di quarant’anni.

In un articolo di Lidia Baratta e Fabrizio Patti, pubblicato su www.linkiesta.it, si esamina la situazione del nostro patrimonio immobiliare.

“Alla Vucciria, nel cuore antico di Palermo, a inizio febbraio un edificio di tre piani è venuto giù come un castello di sabbia. È solo l’ultimo di una serie di crolli, in una città deturpata dalla speculazione edilizia. Solo nel centro storico, il Comune ha censito 1.300 edifici instabili, di cui 228 a rischio crollo. A Matera, neanche un mese prima, una donna era morta sotto le macerie di una palazzina in una delle strade principali della cittadina.

Altro che ‘Grande Bellezza’. L’Italia cade a pezzi. Crepe, davanzali che cedono, scale che scricchiolano: i palazzi sparsi lungo tutta la Penisola sono vecchi, sprecano troppa energia e hanno sempre più bisogno di interventi di manutenzione.

Lo dice anche l’ultimo rapporto Cresme sullo stato dell’edilizia italiana: tra gli edifici pubblici, il 49% è stato realizzato prima del 1945; tra quelli scolastici, quasi la metà ha da 31 a 50 anni di età; tra le abitazioni, oltre il 60% ha più di quarant’anni.

Fra soli dieci anni, nelle 14 città metropolitane italiane gli appartamenti con oltre 40 anni di vita saranno l’85%.

Eppure gli investimenti pubblici per la manutenzione dei centri urbani pesano sul bilancio pubblico poco più del 2%.

Partiamo dallo stock edilizio destinato agli uffici, pubblici e privati, che conta in tutto 65.000 strutture, di cui 13.675 pubbliche. Un patrimonio ‘prevalentemente vecchio’, scrive il Cresme: quasi la metà è stato realizzato prima del 1945 e le nuove costruzioni ogni anno non superano i 25-30 fabbricati. Anche gli interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria sono pochi e riguardano solo circa 175 edifici all’anno.

Ma anche le scuole non se la passano bene, come si sa: più del 40% ha oltre 70 anni e quasi la totalità (97%) ha un impianto di riscaldamento tradizionale che fa consumare che fa consumare (insieme all’elettricità) oltre 1,2 miliardi all’anno.

La situazione non migliora per il comparto delle abitazioni: più del 60% degli edifici ha più di 40 anni, e il 30% è stato costruito prima della seconda guerra mondiale…

Ma non è solo questione di anzianità degli edifici. L’Italia è anche terra di abusivismo edilizio, con tutto quello che questo comporta in termini di sicurezza.

Come spiegano anche da Legambiente  dagli anni Settanta in poi, ‘in barba alle leggi, venne realizzato un numero impressionante di nuove unità immobiliari. Le seconde case, spesso lasciate vuote o occupate pochi giorni all’anno, invasero la penisola, sorgendo senza ordine né coerenza devastando alcune delle località più belle del Paese’.

Poi sono venuti i condoni. La legge 47 del 1985 per la prima volta consentì di regolarizzare le posizioni dei proprietari abusivi, seguita a ruota dalle sanatorie del 1994 e del 2003, che avevano come principio di fondo la possibilità di un introito straordinario per lo Stato. In realtà, ‘hanno invece fatto incassare pochi spiccioli e premiato gli abusivi’..

Il contesto di degrado degli edifici, pubblici e privati, dovrebbe preoccupare in effetti anche per ragioni economiche.

Ne è convinto Leopoldo Freyrie, presidente del consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori. ‘Il debito pubblico italiano’, schematizza Freyrie, ‘è garantito dal risparmio privato. Il 50% di questo risparmio privato è ascrivibile a immobili. Se questa voce va male, perché le case perdono valore, l’Italia va incontro al fallimento. È una provocazione, ma che si basa su basi economiche serie’…

Come scongelare la situazione? Per il presidente degli architetti non ci sono dubbi: ‘Ci vuole un cambio radicale del paradigma di governo del territorio: bisogna limitare al massimo il consumo di suolo, che crea rischio idrogeologico e maggiori costi per gli allacciamenti. Si deve investire invece sul riuso delle città’.

Perché questo non rimanga solo un buon proposito, aggiunge, sono necessari tre elementi: avere una strategia di progetto, semplificare le regole e fare investimenti…”.


Le proposte di Libera sui beni confiscati alle mafie

10 marzo 2014

Si è tenuta il 1° marzo a Roma la conferenza nazionale sui beni confiscati alle mafie. Insieme al presidente del gruppo Abele e di Libera, don Luigi Ciotti, erano presenti Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali; Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; Andrea Orlando, Ministro della Giustizia; Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia; Franco Roberti, Procuratore Nazionale antimafia e Ignazio Marino, sindaco di Roma.

L’associazione Libera, nel corso della conferenza, ha presentato dieci proposte.

Così si può leggere nel sito www.libera.it:

Chiediamo al Governo e al Parlamento urgenti modifiche normative finalizzate a:

difendere e rafforzare il principio del riutilizzo sociale dei beni confiscati, prevedendo la loro vendita solo in casi residuali;

assicurare che l’Agenzia nazionale possa funzionare veramente con personale qualificato e un’unica sede a Roma presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

rafforzare le sezioni misure di prevenzione dei Tribunali per far fronte ai tanti sequestri del valore di centinaia di milioni di euro;

dare piena attuazione all’albo degli amministratori giudiziari per poter contare su professionalità adeguate;

utilizzare il più possibile le liquidità rimaste troppo a lungo bloccate nel fondo unico giustizia;

garantire l’accesso al credito per lo start up di cooperative e imprese giovanili;

prevedere la destinazione delle risorse della programmazione dei fondi comunitari 2014-2020 per il sostegno ai progetti sui beni e sulle aziende confiscate;

tutelare i lavoratori onesti delle aziende e a incentivare la nascita di cooperative di dipendenti;

estendere la possibilità di destinare le aziende per le finalità sociali e agli enti territoriali;

assegnare in via anticipata i beni e aziende sin dalla fase del sequestro per evitare che rimangano inutilizzati e si perda il loro valore economico-sociale.

L’auspicio è che vengano approvate al più presto quelle proposte contenute nel disegno di legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” promosso dalla Cgil e dal mondo sindacale e quelle inserite nel rapporto “Per una moderna politica antimafia” elaborato dalla commissione istituita dal governo Letta e presieduta dal consigliere Roberto Garofoli.

E chiediamo che le stesse vengano inserite – come dichiarato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi – all’ordine del giorno del programma del semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo.