I poveri lasciati soli

30 ottobre 2013

Secondo l’ordine degli assistenti sociali non si fa abbastanza per i soggetti più deboli, per 4,8 milioni di poveri non sono sufficienti i 900 milioni previsti nella legge di stabilità. Serve un cambio di linea, con politiche più forti di sostegno e di integrazione sociale.

In un comunicato emesso dall’agenzia Labitalia si riferisce della posizione dell’ordine degli assistenti sociali relativamente alle politiche adottate nei confronti dei poveri.

“‘In un periodo di grave crisi economica e sociale come quella che stiamo vivendo oggi in Italia, con oltre 4,8 milioni di poveri secondo i dati Istat appena resi noti è necessario cambiare radicalmente le politiche sociali a favore dei soggetti più deboli, per non compromettere il capitale umano e sociale del nostro Paese’.

Lo afferma Edda Samory, presidente del consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, che cita anche le parole dette nei giorni scorsi dal ministro Giovannini su sostegno al reddito e guerra alla povertà. ‘Coincidono con quanto l’Ordine degli assistenti sociali va affermando da sempre, e con quanto Lorena Rambaudi, assessore alle politiche sociali della Regione Liguria, ha condiviso con l’Ordine nazionale in seguito alla Conferenza Stato-Regioni sugli stessi temi’, dice.

‘Non ci si può fermare ai 900 milioni previsti nella legge di stabilità – continua Samory- perché i nuovi poveri necessitano di politiche più forti di sostegno e di integrazione sociale. Servono più risorse, ma soprattutto serve una maggiore programmazione degli interventi sul territorio per ottimizzare le risorse disponibili. Distribuire risorse a pioggia, come per esempio nel progetto della Social Card, è retaggio di una politica assistenziale che non costruisce per il futuro, e anzi può avere degli effetti opposti alle intenzioni’.

‘Per rendere realmente indipendenti e autosufficienti le famiglie oggi in difficoltà abbiamo bisogno di politiche di intervento mirato, basate su progetti concreti di sostegno individuale e famigliare. Serve inoltre attivare un monitoraggio costante degli interventi per sostenere e, nel caso, ridefinire passo dopo passo il progetto di inclusione sociale ed economica dei cittadini in difficoltà, compito e obiettivo primario del servizio sociale professionale’, aggiunge Samory.

‘Il Sia, sostegno per l’inclusione attiva, può essere un utile strumento – spiega Samory – di nuova progettazione degli interventi di servizio sociale. L’Ordine degli assistenti sociali auspica quindi con favore il suo avvio fin dalla legge di stabilità per il 2014 e ribadisce la sua piena disponibilità a collaborare con il ministero e con le altre istituzioni, fin dalla fase progettuale, per trovare l’organizzazione più efficace del servizio e per dare maggiore concretezza alle azioni di inclusione sociale e di lotta alla povertà’.

‘Non bisogna poi, per nessun motivo, trascurare il sostegno all’infanzia e all’adolescenza. E invece vediamo che la legge di stabilità prevede ulteriori tagli al fondo nazionale dedicato. Tagli che rischiano di rendere ancora più difficile la vita delle famiglie e che, come assistenti sociali, non possiamo non denunciare’, conclude”.


La tratta di persone in Italia

28 ottobre 2013

In occasione della giornata europea contro la tratta di persone, è stato presentato a Roma il “primo rapporto di ricerca sulla tratta e il grave sfruttamento”,  realizzato insieme da Caritas Italiana e dal Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (Cnca),  in collaborazione con il Gruppo Abele e l’Associazione On the Road.

In un comunicato emesso dalla Caritas Italiana sono esposti i principali contenuti del rapporto.

“Dall’indagine viene fuori un’immagine inedita: un fenomeno che da ‘eccezionale’ è diventato ‘normale’, sia per quanto riguarda la compenetrazione dello sfruttamento nella vita quotidiana (mentre si fa la spesa, si va al lavoro, si naviga in rete) che per la tipologia di sfruttamento che si incontra e non si riconosce come tale (operai edili nei cantieri, badanti in case private, ambulanti per strada).

La ricerca ricostruisce l’evoluzione del fenomeno della tratta di persone così come si è sviluppato in Italia dalla fine degli anni ‘90 a oggi e analizza il funzionamento del sistema di protezione sociale rivolto alle vittime.

Sono stati coinvolti nell’indagine 156 enti, di cui 148 privati e 8 pubblici, per la ricerca quantitativa e 133 per i dati qualitativi, tra cui molti enti pubblici. inoltre, sono stati sentiti 199 operatori a vario titolo impegnati nel settore anti-tratta. Nel complesso, quindi, un campione rappresentativo degli enti attualmente attivi sul territorio nazionale.

Dal 2006 al 2012 i servizi di aiuto alle vittime sono entrati in contatto con oltre 65.000 persone; di queste, ben 21.378 hanno deciso di entrare in un programma di protezione e assistenza sociale.

Per quanto riguarda l’età, continuano a essere sfruttate nella prostituzione soprattutto le giovani tra i 18 e i 25 anni (più del 50%). I paesi di origine principali delle persone trafficate assistite dagli enti sono la Nigeria e la Romania; in costante crescita il Brasile, il Marocco, la Cina; si registra, infine, il ritorno dell’Albania.

La ricerca indica con chiarezza che le persone trafficate sopportano forme di disagio multiple. In molti casi, infatti, vivono in condizioni di povertà, fanno uso o abuso di alcool e/o di sostanze stupefacenti, sviluppano problemi di salute mentale e subiscono molte forme di discriminazione e di violenza, molto cresciuta negli ultimi anni.

L’indagine ha permesso di individuare numerose criticità con cui gli interventi di protezione devono fare i conti: scarsa attenzione della politica al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento; mancanza di coordinamento tra le politiche portate avanti dai ministeri competenti; mancato riconoscimento e forte discrezionalità da parte delle Questure nella concessione di percorsi sociali alle vittime di tratta, preferendo piuttosto quelli giudiziari, e difficili rapporti degli operatori sociali con le forze di polizia e l’autorità giudiziaria; l’incertezza, la scarsità e i progressivi tagli dei finanziamenti assegnati ai programmi anti-tratta.

‘Si esorta il Governo italiano a impegnarsi in maniera diretta, efficace, coerente e continuativa contro la tratta di persone, in tutte le sue forme – ha dichiarato don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana -, adottando un approccio fondato sui diritti umani e garantendo l’assegnazione di risorse umane e finanziarie adeguate.

È necessario riconsiderare il ruolo assegnato al Dipartimento per le Pari Opportunità, coinvolgendo maggiormente i ministeri che hanno un interesse e un obbligo istituzionale nel prevenire e contrastare il fenomeno della tratta e del grave sfruttamento’.

‘L’Italia dispone di una legislazione e di un sistema di intervento che ne fanno il modello più avanzato a livello internazionale – ha affermato Tiziana Bianchini, responsabile Prostituzione e Tratta del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) -.

Tuttavia, a causa di un’impostazione politica che riduce sempre più le risorse per il welfare, anche il sistema dei servizi anti-tratta è a grave rischio di stallo, se non di collasso. Per questo con il rapporto abbiamo voluto fare il punto sul fenomeno, ma anche ‘andare a capo’, ripensare un nuovo orizzonte per combattere la tratta e aiutare le vittime’”.


In Italia troppi sprechi alimentari

26 ottobre 2013

In Italia si verificano troppi sprechi alimentari. Alla stessa conclusione arrivano i dati elaborati da Last Minute Market e dal suo osservatorio Waste Watcher e quelli forniti dalla Coldiretti. Gli sprechi alimentari rappresentano nel nostro Paese l’1,19% del Pil. Ogni italiano, ogni anno, butta nel bidone della spazzatura 76 chili di prodotti alimentari.

Questi dati sono analizzati in due comunicati emessi dall’agenzia Adnkronos.

“In Italia lo spreco alimentare rappresenta l’1,19% del Pil. E’ quanto emerge dai dati elaborati da Last Minute Market e dal suo osservatorio Waste Watcher in partnership con Swg e che saranno presentati a Ecomondo (Rimini Fiera, 6-9 novembre 2013), manifestazione nella quale si discuterà la necessità di diminuire gli sprechi alimentari.

Giovedì 7 novembre, alle 9,30, infatti, è in programma il forum dal titolo ‘Ridurre e prevenire gli sprechi alimentari: a che punto siamo in Europa e in Italia?’ promosso insieme al Parlamento Europeo-Commissione agricoltura e sviluppo rurale e introdotto da Andrea Segrè (presidente Last Minute Market e direttore del dipartimento di scienze e tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna).

Nei Paesi più ricchi la parte preponderante degli sprechi alimentari avviene a livello domestico.

Secondo una stima della direzione generale per l’Ambiente della Commissione europea il 42% del totale degli sprechi (76 kg pro-capite per anno) si materializza all’interno delle mura domestiche (il 25% della spesa alimentare in peso). Almeno il 60% di questo spreco potrebbe essere evitato.

Gettando via il cibo si sprecano altresì le risorse naturali limitate (suolo, acqua, energia) utilizzate per produrre, trasformare, distribuire e poi smaltire, con impatti negativi non solo dal punto di vista economico ma anche ecologico e sociale.

Per ridurre e prevenire lo spreco di alimenti il Parlamento europeo ha votato una Risoluzione che definisce obiettivi specifici da conseguire entro il 2014 per poi dimezzare entro il 2025 lo spreco alimentare”.

“Ogni persona in Italia ha buttato nel bidone della spazzatura 76 chili di prodotti alimentari durante l’anno, anche se con una tendenza positiva alla riduzione provocata dalla crisi che negli ultimi 5 anni ha tagliato di circa il 25% gli avanzi da gettare.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti, presentata in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione proclamata dalla Fao.

Il contenimento degli sprechi, sottolinea la Coldiretti, è forse l’unico aspetto positivo della crisi che ha determinato una maggiore attenzione degli italiani alla spesa, ma anche alla preparazione in cucina e alla riutilizzazione degli avanzi.

Restano comunque quasi 5 milioni le tonnellate di cibo che ogni anno vengono gettate nelle case degli italiani.

Un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato, per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate, delle quali 670 milioni di tonnellate nei paesi industrializzati e 630 milioni di tonnellate in quelli in via di sviluppo. E’ necessario intervenire per una più attenta gestione e distribuzione della produzione agricola e alimentare per combattere la povertà e la fame.

Il risultato contraddittorio è stato il diffondersi dell’obesità e dello spreco di cibo nei Paesi ricchi, e il furto delle terre fertili, cosiddetto land grabbing (71 milioni di ettari dal 2000 ad oggi), e il dramma della fame in quelli poveri.

‘E’ necessario ora – conclude la Coldiretti – che la politica tenga conto di queste questioni mettendo in cima alle priorità la strategicità del cibo e promuovendo politiche che a livello globale definiscano una regia di regole per i beni comuni come il cibo, l’acqua e il suolo’”.


Le promesse del Governo per i disabili gravi

23 ottobre 2013

Dopo la protesta serrata e drammatica davanti al ministero dell’Economia di decine di disabili gravi e gravissimi aderenti al comitato 16 novembre onlus hanno ottenuto un incontro e una serie di promesse sul sostegno alla non autosufficienza. Loro interlocutori, il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda, la vice ministra al Lavoro e alle Politiche sociali Maria Cecilia Guerra e il sottosegretario all’Economia e alle Finanze Pier Paolo Baretta.

In un articolo pubblicato su www.sanitailsole24ore.com vengono prese in considerazione le promesse che sono state comunicate ai rappresentanti dei disabili.

“Il Governo si è impegnato a:

convocare in tempi rapidi un incontro con le Regioni e i Comuni per discutere le modalità per favorire, sia nella filiera sociale che in quella sanitaria, l’assistenza domiciliare delle persone non autosufficienti nel rispetto della libertà di scelta;

sostenere che l’intesa con le Regioni per il riparto 2014 del fondo per le non autosufficienze confermi la destinazione, già prevista nel 2013, dell’intero ammontare delle risorse a favore della domiciliarietà e il vincolo minimo dell’utilizzo del 30% delle risorse a favore delle disabilità gravissime. Il ministero del Lavoro si impegna a confermare la costante azione di monitoraggio circa il rispetto dell’intesa;

proseguire nei confronti tecnici già avviati coinvolgendo l’INPS, Regioni e Comuni, per il riconoscimento dell’invalidità al 100% e la conseguente applicazione della Legge Turco e discutere dell’aggiornamento dei Lea e del nomenclatore tariffario;

accelerare attraverso adeguati provvedimenti normativi e amministrativi la distribuzione del Fondo non autosufficienza alle Regioni;

aumentare nell’iter di approvazione della legge di stabilità il fondo per la non autosufficienza.

Risposte in parte coerenti con le richieste poste dal comitato 16 novembre.

L’associazione rivendica infatti un’assistenza domiciliare adeguata alla gravità delle patologie, fino a garantire la presenza vigile 24 ore su 24, senza differenza tra Regioni.

‘I fondi devono – precisa Biagio Padula, del comitato 16 novembre – andare direttamente ai disabili senza intermediazioni, serve l’aggiornamento dei Lea (livelli essenziali di assistenza) e del nomenclatore tariffario. Mancano – precisa ancora Padula – i soldi per l’assistenza e le cure. E non c’è più tempo per molti malati di Sla’.

La proposta del comitato è di destinare 4,5 miliardi di euro per un massiccio ritorno in famiglia di malati e anziani che lo desiderano.

E di agevolare anche in altre Regioni il modello Sardegna nell’assistenza domiciliare ai malati.

‘Un progetto – sottolinea il comitato – che ha portato in Sardegna al dimezzamento dei posti in Rsa (residenze sanitarie assistite) e a un’assistenza domiciliare più vicina ai bisogni, con un dimezzamento dei costi per la sanità pubblica per gli over 65’”.


In crescita l’agromafia

21 ottobre 2013

La presenza delle mafie nel settore agroalimentare è in crescita. Infatti il volume d’affari dell’“agromafia” è aumentato nel 2013 rispetto al 2011 del 12%. Questo e altri dati sono contenuti nel rapporto “Agromafie” elaborato da Coldiretti-Eurispes e presentato al forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione a Cernobbio.

In un comunicato dell’agenzia Asca si esamina il rapporto di Coldiretti-Eurispes.

“Il volume d’affari complessivo dell’agromafia sale a circa 14 miliardi di euro nel 2013, con un aumento record del 12% rispetto a due anni fa, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perchè la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi.

E’ quanto emerge dal rapporto ‘Agromafie’’ sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti-Eurispes e presentato al forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione a Cernobbio.

L’agricoltura e l’alimentare sono considerate aree prioritarie di investimento dalla malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perchè del cibo, anche in tempi di difficoltà, nessuno potrà fare a meno, ma soprattutto perchè consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la vita quotidiana della persone in termini economici e salutistici.

E’ peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare. In questa opera di infiltrazione le mafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale. Per questo le mafie – sottolineano Coldiretti-Eurispes – hanno già imposto il proprio controllo sulla produzione e la distribuzione di generi alimentari del tutto eterogenei tra loro.

Controllano in molti territori la distribuzione e talvolta anche la produzione del latte, della carne, della mozzarella, del caffè, dello zucchero, dell’acqua minerale, della farina, del pane clandestino, del burro e, soprattutto, della frutta e della verdura. Potendo contare costantemente su una larghissima ed immediata disponibilità di capitale e sulla possibilità di condizionare parte degli organi preposti alle autorizzazioni ed ai controlli, si muovono con maggiore facilità rispetto all’imprenditoria legale.

Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente.

Alcune stime – precisano Coldiretti-Eurispes – valutano almeno 5.000 locali di ristorazione in Italia in mano alla criminalità organizzata (bar, ristoranti, pizzerie), nella maggioranza dei casi intestati a prestanome. Questi esercizi non garantiscono solo profitti diretti, ma vengono utilizzati anche come  copertura per riciclare denaro sporco.

In alcuni casi agenti dei clan rappresentano specifici marchi alimentari, che impongono in tutta la loro zona di influenza. Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo, furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni  clandestine, danneggiamento delle colture, contraffazione e agropirateria, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, caporalato, truffe ai danni dell’Unione europea.

A tutte le pressioni e minacce, esercitate in particolare nei confronti degli agricoltori del Mezzogiorno, si aggiungono i nuovi sistemi di condizionamento mafioso per imporre dazi illegali ed assorbire grosse fette del settore.

Secondo la Direzione Investigativa di Roma ben il 15% del fatturato realizzato dalle attività agricole appartiene all’illecito, mentre l’osservatorio Flai Cgil contro le agromafie e il caporalato denuncia come su 1.558 aziende confiscate alle mafie oltre 90 siano attive in ambito agricolo; dei 10.563 beni confiscati, ben 2.500 sono terreni con destinazione agricola.

Le organizzazioni mafiose sono consapevoli che, pur non trattandosi del settore che garantisce i guadagni più consistenti e nel più breve tempo, il cibo costituisce la necessità primaria, di cui nessuno potrà mai fare a meno.

Mettendo le mani sul comparto alimentare le mafie hanno inoltre la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza ed il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma – concludono Coldiretti-Eurispes – compromettono in modo gravissimo la  qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio Made in Italy”.


Il 70% degli italiani teme di perdere il lavoro

20 ottobre 2013

Sette italiani su dieci temono di perdere il lavoro e circa il 50% ha paura di non avere un reddito sufficiente per mantenere la propria famiglia. Questi alcuni dei risultati dell’indagine su “La percezione della crisi e il made in Italy”, realizzata da Coldiretti-Ixe.

In un articolo pubblicato su www.rassegna.it si esaminano i principali contenuti di questa indagine.

“Il timore di perdere il lavoro è sentito da sette italiani su dieci, mentre più della metà, il 53%, ha paura di non riuscire ad avere un reddito sufficiente per mantenere la propria famiglia.

E’ quanto emerge dalla prima indagine su ‘La percezione della crisi e il made in Italy’ realizzata da Coldiretti-Ixe a ottobre 2013 e presentata al forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione a Cernobbio.

‘Per più di una famiglia italiana su quattro sarà quindi un autunno difficile di sacrifici economici’ sottolinea la Coldiretti.

Per quanto riguarda la situazione generale la percentuale di quanti sono pessimisti per il futuro e pensano che la situazione peggiorerà è pari al 35%. Al contrario, il 51% ritiene che non ci saranno cambiamenti mentre solo il 14% è convinto che ci sarà un miglioramento.

‘Emerge una forte preoccupazione e un senso di rassegnazione nei confronti sia della situazione generale del Paese che di quella personale in cui c’è bisogno di avere fiducia nel futuro’ ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini.

‘I pericoli che si intravedono – conclude Marini – sono molto pragmatici come il lavoro e il reddito e poco ideologici come l’immigrazione, citata solo dal 7% degli italiani’.

A fronte di questa situazione più di due italiani su tre (68%) hanno ridotto la spesa o rimandato l’acquisto di capi d’abbigliamento, ma oltre la metà ha detto addio a viaggi e vacanze e ai beni tecnologici.

Inoltre, la Coldiretti rileva che il 42% degli italiani ha rinunciato alla ristrutturazione della casa, il 40% all’auto o alla moto nuova e il 37% agli arredamenti.

Pesa l’addio alle attività culturali del 35% degli italiani ma anche quello alle attività sportive (29%) destinato ad avere un impatto sulla salute.

Da segnalare sul lato opposto il fatto che – conclude Coldiretti – solo il 14% per cento degli italiani dichiara di aver ridotto la spesa o rimandato gli acquisti alimentari, una percentuale superiore solo alle spese per i figli (6%), ma per entrambe le voci la percentuale è in calo rispetto allo scorso anno”.


Contro la povertà

16 ottobre 2013

Il 17 ottobre è la giornata mondiale della lotta contro la povertà. E’ opportuno quindi, in questa occasione, ricordare alcuni dati che riguardano l’Italia: oltre 9 milioni sono le persone in condizioni di povertà relativa e quasi 5 coloro che si trovano in una situazione di povertà assoluta. E il gruppo Abele, presieduto da don Luigi Ciotti, ha promosso “Miseria ladra”, la campagna nazionale contro tutte le forme di povertà.

In un articolo pubblicato su www.liberainformazione.org ci si occupa di questo fenomeno così importante e grave.

“In Italia sono 9 milioni e 563.000 le persone in condizioni di povertà relativa, cioè costrette a vivere con meno di 506 euro al mese. A questi si sommano 4 milioni e 814.000 persone che si trovano addirittura in povertà assoluta, nell’indigenza.

Inoltre il 7% dei minorenni italiani vive in condizione di povertà assoluta. Sono 723.000 ragazzi i cui percorsi sono stati ingiustamente interrotti, per i quali le istituzioni non offrono speranze. Un dato drammatico che colloca l’Italia al primo posto in Europa per ciò che riguarda la povertà minorile.

Ma c’è anche la povertà culturale: con 6 milioni di persone analfabete, con l’Italia agli ultimi posti in Europa per abbandono scolastico.

Sei famiglie su dieci in seguito alle difficoltà economiche hanno ridotto la quantità e la qualità del carrello della spesa alimentare. Il picco si registra ancora una volta al sud, con quasi il 73%.

In occasione della giornata mondiale della lotta contro la povertà che si celebra domani  il gruppo Abele promuove ‘Miseria ladra’ la campagna nazionale contro tutte le forme di povertà.

‘Miseria ladra’ – spiegano gli organizzatori – è un cantiere aperto che ha già trovato l’appoggio di oltre duecento associazioni e realtà del sociale. per ‘chiamare’ e ‘convocare’ alla mobilitazione su un problema che oggi tocca più tragicamente e in misura crescente alcune fasce sociali, ma domani potrebbe riguardare una fascia più ampia della popolazione generale.

‘La lotta alla povertà – ha dichiarato Luigi Ciotti, presidente nazionale Gruppo Abele e Libera – parte dalla giustizia sociale. Parte da politiche che favoriscono la dignità delle persone, senza eccezioni né discriminazioni. Parte dai diritti che stanno a fondamento di ogni società che voglia dirsi civile: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria.

Ma non bisogna dimenticare – ha concluso Luigi Ciotti – accanto alla povertà materiale, quelle immateriali: la povertà di senso, la povertà culturale, la povertà politica. Il risanamento economico non può prescindere da un profondo rinnovamento etico, da un superamento degli egoismi, dal riconoscimento dei legami sociali. Avremo vinto la povertà non solo quando saremo liberi dal bisogno, ma quando avremo scoperto che la libertà, come la speranza, sono beni collettivi, che tocca a ciascuno di noi promuovere e diffondere’.

Gli ultimi dati a partire da quelli del rapporto Istat 2012 fotografano una ‘guerra’ dove la povertà è la peggiore delle malattie. In senso sociale, economico, ambientale e sanitario. Una guerra che si consuma tutti i giorni sotto i nostri occhi e che qualcuno dimentica.

La crisi economica produce effetti devastanti perché si radica in una ‘crisi’ morale, di cui in qualche modo è l’espressione. Fa riflettere l’aumento considerevole di denunce a persone colpevoli di aver rubato da mangiare nei supermercati. Molti gli anziani sorpresi a sottrarre dagli scaffali una bistecca o un pezzo di formaggio del valore di qualche euro, tanto al nord quanto al sud. Aumentano le persone costrette a vivere in strada, gli homeless, ormai oltre 50.000.

I punti salienti della campagna: dieci obiettivi concreti ‘sui quali unire gli sforzi di tutte e tutti per rendere illegale la povertà’ – scrivono i promotori: si va dalla  ricostituzione del fondo sociale e per  la non autosufficienza, completamente azzerati, alla moratoria dei crediti di Equitalia e bancari per chi è in difficoltà; dai  pagamenti per chi fornisce servizi, beni e prestazioni, ala riconversione ecologica delle attività produttive attraverso i tagli alle spese militari, alle grandi inutili opere e abolendo i Cie; dalla sospensione degli sfratti esecutivi; alla destinazione del  patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali ed abitativi; dal riconoscere la residenza ai senza fissa dimora per garantirgli l’accesso al servizio sociosanitario al reddito minimo di cittadinanza; dalla difesa dei beni comuni e ripubblicizzazione dei servizi basici essenziali alla rinegoziazione del debito.

‘Sono proposte che garantiscono dignità ed eguaglianza – spiegano. Le istituzioni locali possono impegnarsi sin da subito su alcuni di questi punti, che riguardano le vite di milioni di persone’”.


Violenza familiare in aumento

15 ottobre 2013

Secondo il dipartimento di pubblica sicurezza, nel 2012 i casi di maltrattamenti in famiglia sono cresciuti del 6,5% e nell’81% dei casi hanno riguardato persone di sesso femminile. Inquietante il dato sugli omicidi: calano tra gli uomini, aumentano tra le donne.

In un articolo pubblicato su www.rassegna.it vengono presi in esame i dati forniti dal dipartimento di pubblica sicurezza sulla violenza familiare.

“La violenza familiare è in aumento in Italia: nel 2012 i casi di maltrattamenti all’interno della sfera domestica sono cresciuti del 6,5% rispetto all’anno precedente (da 9.294 a 9.899) e l’81% di questi episodi, in entrambi gli anni ha riguardato donne.

E’ uno dei dati del dipartimento della pubblica sicurezza resi noti in occasione del convegno organizzato da Great Network alla Scuola superiore di polizia e riportati dall’agenzia Agi.
Sempre nel 2012 sono stati commessi complessivamente 2,8 milioni di reati (55.000 in più dell’anno precedente) e il 41,03% ha avuto come vittime donne (erano il 40,75% nel 2011): di queste più dell’11% sono straniere.

Quando è stato identificato l’autore, era italiano nell’80% dei casi di vittima italiana e straniero nel 60% dei casi di vittima straniera.

Gli omicidi volontari negli ultimi cinque anni sono calati del 17%, ma l’incidenza di vittime donne mostra una tendenza opposta: in pratica, si uccidono meno uomini (-24%) e più donne (5%), anche se quest’ultimo valore nel 2012 ha fatto registrare in realtà un lieve decremento (da 170 a 160).

 L’anno passato, su 174 omicidi volontari commessi in contesti familiari e affettivi in 111 casi le vittime sono state donne. Gli atti persecutori nel 2012 sono stati 10.523, il 16,5% in più dell’anno precedente, e hanno avuto nel 77% dei casi vittime di sesso femminile (come nel 2011). 

Stabile il numero degli ammonimenti (1.078 nel 2011, 1,080 nel 2012), in calo quello dei divieti di avvicinamento (2.306 nel 2011, 2.019 nel 2012).

Intanto, si registra in Italia anche il primo caso di concessione del permesso di soggiorno in base al nuovo articolo 18 bis, introdotto nella legge sull’immigrazione dalla normativa sul femminicidio, approvata dal Parlamento nei giorni scorsi: si tratta del primo caso in Italia in cui verrà concesso il permesso di soggiorno a una vittima di violenza di genere”.


I farmaci costano troppo

13 ottobre 2013

Secondo un’indagine dell’associazione di consumatori Altroconsumo i prezzi dei farmaci sono troppo elevati. Infatti dopo la liberalizzazione dei farmaci a carico dei cittadini, non si vedono né sconti né benefici. La misura del governo Monti non ha funzionato: solo il 5,5% delle farmacie interpellate dichiara di scontare i medicinali.

In un comunicato emesso dall’agenzia Adnkronos Salute si analizzano i principali contenuti dell’indagine di Altroconsumo.

“Al palo la liberalizzazione dei farmaci a totale carico dei cittadini, secondo un’inchiesta di Altroconsumo sui prezzi dei medicinali e sui canali di vendita: non si vedono gli sconti nè i benefici per i cittadini.

Gli ipermercati, pur aumentando i prezzi del 9,1% in due anni, sono ancora il canale più conveniente: comprare i medicinali nella grande distribuzione costa circa il 14% in meno rispetto sia alle farmacie sia alle parafarmacie. Queste ultime nell’ultimo biennio hanno aumentato i prezzi del 7,1%, di fatto allineandoli a quelli delle farmacie.

L’indagine di Altroconsumo ha rilevato e confrontato, tra aprile e giugno, i prezzi di 69 farmaci da banco, i più noti e utilizzati, in dieci città: Milano, Roma, Torino, Napoli, Genova, Verona, Bologna, Firenze, Bari e Palermo. Coinvolti 139 punti vendita: 109 farmacie, 15 parafarmacie, 15 ipermercati.

Alla fine sono stati raccolti quasi diecimila prezzi per valutare quanto varia il costo di uno stesso medicinale nei diversi punti vendita di ciascun canale (farmacia, parafarmacia o ipermercato), stabilire quale di questi tre canali sia il più conveniente e capire come si è evoluto il mercato.

Secondo Altroconsumo, la misura voluta dal governo Monti – sconti anche sui medicinali con ricetta, compresi quelli rimborsabili (fascia A) se a pagarli è direttamente il cittadino – è stata ‘azzoppata’.

Solo il 5,5% delle 109 farmacie interpellate dichiara di scontare questi medicinali, non venduti in altri canali concorrenti.

‘Se non si spezza il vincolo alla distribuzione, la liberalizzazione non parte: a rimetterci saranno i cittadini, le finanze e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, il sistema-Paese’, sottolinea l’associazione, che ha segnalato i risultati dell’inchiesta ai ministeri dello Sviluppo economico e della Salute chiedendo ‘interventi risolutori sulla distribuzione dei farmaci ai cittadini e per il rilancio della concorrenza nel settore’”.


Le famiglie italiane, diverse e fragili

9 ottobre 2013

Negli ultimi anni si sono verificati, nelle famiglie italiane, notevoli cambiamenti. Sempre meno famiglie “tradizionali”. Crescono, invece, divorzi, separazioni e nuovi modelli famigliari. E il loro potere d’acquisto si è fortemente ridotto.

Di questi cambiamenti si occupa Francesco Cancellato in un articolo pubblicato su www.linkiesta.it.

“Pietra angolare della società, cuore pulsante del sistema produttivo, complemento fondamentale del welfare, campo di battaglia per le tenzoni politico-elettorali e, abbiamo riscoperto di recente, target fondamentale per i più noti brand della trasformazione alimentare.

Difficile parlare di qualunque cosa, in Italia, senza parlare di famiglia. Anche un’organizzazione che di solito si occupa di piccole e micro imprese, come Confartigianato, ha rivolto la propria attenzione alle famiglie, dedicando loro uno spazio tra le risorse fondamentali per ricostruire il benessere e le comunità italiane al festival della Persona (che si è tenuto a Verona tra il 19 e 20 settembre scorsi), in cui, tra gli altri, è intervenuto il prof. Antonio Golini, importante demografo italiano e presidente vicario dell’Istat, con una relazione sulla metamorfosi delle famiglie italiane.

Metamorfosi, già. In Italia vivono sempre meno famiglie ‘tradizionali’ (uomo, donna, sposati con prole, per capirci).

Tanto per dire: nel 2011 sono stati celebrati 205.000 matrimoni, diecimila in meno circa rispetto a quelli celebrati nel 1943, in piena seconda guerra mondiale. Peraltro, diminuiscono soprattutto le prime nozze tra sposi entrambi di cittadinanza italiana: 155.395 celebrazioni nel 2011, circa 37.000 in meno negli ultimi quattro anni. Crescono, invece, divorzi, separazioni e nuovi modelli famigliari, siano essi single con o senza prole, conviventi, risposati: ben 12 milioni di persone, un italiano su cinque, vive in famiglie di questo tipo.

Fossimo nei panni di un imprenditore, tuttavia, ci preoccuperemmo poco delle diverse forme entro cui il concetto di famiglia si manifesta, quanto piuttosto del loro potere d’acquisto.

L’anno scorso, il 12,7% delle famiglie (quasi dieci milioni di persone) era relativamente povero mentre il 6,8% lo era in termini assoluti (quasi cinque), con un tasso di severa deprivazione grave che tra il 2007 e il 2011 è quasi raddoppiato (nessuno in Europa, in proporzione, fa peggio di noi). A soffrire di più le famiglie con figli e quelle che si dividono, con il divorzio che arriva ad essere uno dei principali fattori di rischio economico.

Quanto i poveri – anzi, forse ancora di più – preoccupano gli impoveriti.

Il potere d’acquisto delle famiglie, dall’inizio della crisi, è calato di 6 punti percentuali, 4,8 solamente tra il 2011 e il 2012. I consumi reali calano, come logico attendersi, ma crolla anche la propensione al risparmio e il risparmio effettivo. Al contrario aumenta specularmente la percentuale delle famiglie che attingono al capitale risparmiato negli anni precedenti o che, peggio ancora, si indebitano (nel 2012 è successo al 6% delle famiglie).

Se si può restare a galla solo attingendo al patrimonio, l’aumento delle disuguaglianze (tra chi ha un patrimonio e chi può solo vivere nel presente) è quasi fisiologico. Ciò accade soprattutto al Sud – che ha meno reddito e più disuguaglianze – e penalizza prevalentemente le famiglie formate da stranieri, le più prolifiche e quelle il cui reddito è prevalentemente frutto del lavoro (90,6% sul totale del reddito complessivo, contro il 63,8% delle famiglie italiane) e non della rendita.

Ai cultori della tradizione non resta che consolarsi con un dato, apparentemente innocuo, relativo all’asimmetria dei redditi e del lavoro domestico tra i coniugi.

Solo in una coppia su venti, infatti, essi sono equamente distribuiti. Al contrario, le donne italiane, in media, si fanno carico del 77% lavoro domestico (se lavorano) e del 90% (se non lavorano).

Qualche tradizione rimane, insomma. Peccato che esista – e non lo dico io, né l’Istat, ma l’Ocse – una correlazione positiva tra il tasso di occupazione femminile e il tasso di fecondità, così come tra il tasso di fecondità, la crescita economica e il futuro di una nazione.

Se ha ancora senso ragionare delle famiglie come risorsa per un nuovo sviluppo del Paese, se ha ancora un senso sostenere e promuoverle quali soggetti vitale della società, al cui interno sopravvivono valori quali la gratuità, la condivisione, il dono, la fiducia, forse si potrebbe partire proprio da qui: dall’unica tradizione cui proprio non riusciamo a rinunciare”.