Dai lavoratori immigrati il 9% del Pil

27 ottobre 2023

E’ stato presentato il rapporto annuale per il 2023 sull’economia dell’immigrazione, curato dalla fondazione Leone Moressa. 2,4 milioni di lavoratori immigrati, nel 2022, hanno prodotto 154 miliardi di Pil, il 9% del totale.

Il notevole contributo fornito, in termini di Pil, dei lavoratori immigrati, appunto il 9% del totale, rappresenta uno dei dati più interessanti contenuti nel rapporto della fondazione Moressa. L’incidenza sul Pil è stato sensibilmente superiore in agricoltura (15,7%), e nell’edilizia (14,5%).

Tale contributo dimostra chiaramente quanto i lavoratori immigrati siano importanti per l’economia italiana.

Altri dati molto interessanti sono contenuti nel rapporto.

La popolazione straniera residente in Italia si è confermata stabile, nel 2022 rispetto all’anno precedente, pari all’8,6% del totale. I valori di alcuni indicatori demografici assumono particolare rilievo: tra gli stranieri vi erano 11,0 nati ogni mille abitanti e 2,0 morti, tra gli italiani, 6,3 nati e 13,0 morti per mille abitanti.

In aumento sono stati gli ingressi per lavoro degli immigrati, pari a 67.000 unità. In Italia il rapporto tra ingressi per lavoro e popolazione residente, pari a 11,3 ogni 10.000 abitanti, è rimasto però inferiore rispetto alla media che si è verificata nell’Unione europea (27,4).

Dopo la flessione dovuta alla pandemia, il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) è tornato a superare quello degli italiani (60,1%), pur rimanendo al di sotto dei livelli pre-Covid.

Gli occupati stranieri erano 2,4 milioni e si concentravano nei lavori manuali: l’incidenza degli stranieri, infatti, era mediamente del 10,3% sui lavoratori totali, ma ha raggiunto il 28,9% tra il personale non qualificato.

E’ continuato l’aumento degli imprenditori immigrati, che nel 2022 erano 761.000 (10,1% del totale). In dodici anni (2010-2022), gli imprenditori immigrati sono cresciuti (+39,7%) mentre gli italiani sono diminuiti (-10,2%). L’incidenza più elevata si è riscontrata nei settori costruzioni, commercio e ristorazione.

Dopo la pandemia, è tornato a crescere anche il numero di contribuenti immigrati. Si tratta di 4,3 milioni di contribuenti (10,4% del totale), che nel 2022 hanno dichiarato redditi per 64 miliardi di euro e versato 9,6 miliardi di Irpef.

E’ rimasto positivo il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 29,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 27,4 miliardi), con +1,8 miliardi di euro in attivo. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni.

E la notevole importanza dei lavoratori immigrati per il sistema economico italiano induce a rilevare che, anche per questo motivo, sono sbagliate le posizioni di quanti ritengono molto preoccupante la presenza di immigrati nel nostro Paese.

Più corretto sarebbe l’auspicio che la componente rappresentata dai lavoratori sul totale degli immigrati aumenti e che tale componente si accresca anche in termini assoluti.

Se ciò si verificasse si contribuirebbe a favorire la crescita del Pil e si avrebbero conseguenze positive anche dal punto di vista demografico.


L’economia sommersa in Italia e in altri Paesi

23 ottobre 2023

Recentemente l’Istat ha reso noti alcuni dati relativi alle dimensioni dell’economia sommersa, in Italia, nel 2021. L’economia sommersa ha assunto un valore pari a 174 miliardi di euro. Le unità di lavoro irregolari erano 2.990.000, con un aumento di circa 73.000 unità rispetto al 2020.

Sempre rispetto al 2020, l’economia non osservata, costituita oltre che dall’economia sommersa dalle attività illegali, pari a 192 miliardi di euro, è cresciuta di 17,4 miliardi ma la sua incidenza sul Pil è rimasta invariata (10,5%).

Le principali componenti dell’economia sommersa sono rappresentate dal valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) o generato mediante l’utilizzo di lavoro irregolare.

L’economia illegale include sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge sia quelle che, pur essendo legali,  sono svolte da operatori non autorizzati.

Nell’economia illegale, ad esempio, possono essere inserite la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di sigarette.

Ma, al di là delle sue variazioni nel tempo, assume maggiore importanza la consistenza, molto notevole in Italia, dell’economia non osservata, e della sua maggiore componente, l’economia sommersa, soprattutto rispetto a quanto avviene in altri Paesi.

Secondo un documento del ministero dell’Economia, nel quale sono analizzati i valori dell’economia sommersa nei Paesi dell’Unione europea, tramite l’elaborazione dei dati contenuti in uno studio di Friedrich Schneider e Leandro Medina, si può concludere che il valore assunto dall’economia sommersa in Italia è tra i più elevati.

Infatti il valore medio dell’economia sommersa, in rapporto al Pil, nel periodo 1991-2015, era in Italia decisamente più elevato dei valori registratisi nei Paesi più importanti dell’Ue, Spagna, Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda.

Occorre però aggiungere che i Paesi contraddistinti  dai valori più alti erano Cipro, Romania, Malta e Croazia.

Quindi il confronto con i Paesi più importanti dell’Unione europea dimostra ulteriormente che l’economia sommersa in Italia assume dimensioni molto consistenti, troppo consistenti.

E conferma inoltre che sarebbe opportuno ridurre il valore dell’economia sommersa, nel nostro Paese, per  vari motivi, il più importante  dei quali è senza dubbio la necessità di diminuire l’evasione fiscale.

E’ del tutto evidente infatti che tramite la diminuzione dell’evasione fiscale sarebbe possibile finanziare spese pubbliche di notevole rilievo come quelle per la sanità e per l’istruzione, nonché gli investimenti in infrastrutture, materiali e immateriali, e sarebbe possibile anche ridurre alcune imposte, quali quelle a carico del lavoro dipendente. Si potrebbe poi ridurre il deficit di bilancio e il debito pubblico.


Aumentare la tassa di successione

16 ottobre 2023

I problemi del bilancio pubblico italiano sono noti e si stanno manifestando anche nella predisposizione della manovra finanziaria che sarà approvata nelle prossime settimane. Un modo per ridurre quei problemi potrebbe essere rappresentato da un aumento della tassa di successione.

Tale aumento non necessariamente determinerebbe un incremento della pressione fiscale, del rapporto tra entrate fiscali e Pil, perché potrebbe anche essere utilizzato per ridurre il gettito di altre imposte come ad esempio l’Irpef pagata dai lavoratori dipendenti, in primo luogo di quanti percepiscono retribuzioni più basse.

Ma perché sarebbe auspicabile un aumento della tassa di successione?

Non solo perché potrebbe contribuire a ridurre i problemi del bilancio pubblico.

Ma anche per motivi di equità.

La tassa di successione infatti, in Italia, è troppo bassa.

In Italia le imposte di successione oscillano tra il 4 e l’8%, con delle franchigie di esenzione piuttosto importanti, mentre in altri Paesi si può arrivare ad applicare una tassazione maggiore del 50%.

Alcuni esempi.

In Germania la tassa di successione oscilla tra il 7% e il 50%, in Gran Bretagna l’Inheritance tax act del 1984 applica una tassazione del 40%, mentre in Francia  l’aliquota varia dal 5% al 60%.

Questo significa che nel caso in cui vengano lasciati in eredità un milione di euro, in Italia la somma da pagare è di 0 euro (mentre se si lascia un immobile si pagano in ogni caso le imposte ipotecarie e catastali), in Germania di circa 75.000 euro, in Francia di 195.000 e in Gran Bretagna di 250.000 euro.

Estendendo l’analisi anche ad altri Paesi, si può notare come il Belgio ha un’imposta sulla successione che oscilla tra il 30% e l’80%, la Finlandia tra il 13% e il 32%, e la Spagna tra il 34% e l’86%.

Per la verità ci sono anche Paesi dove non si pagano imposte di successione, Hong Kong, Singapore, Portogallo, Macao, Slovacchia, Estonia, Messico, Canada, Nuova Zelanda e Australia.

Comunque, lo ripeto, in molti importanti Paesi europei, le imposte di successione sono decisamente più elevate rispetto a quelle esistenti in Italia.

Quindi, tutto ciò considerato, credo che sia ampiamente giustificata la possibilità, o meglio la necessità, di aumentare la tassa di successione in Italia.


Gli occupati aumentano ma i problemi strutturali rimangono

9 ottobre 2023

In agosto gli occupati sono aumentati, in Italia, di 59.000 unità rispetto al mese precedente, di 523.000 rispetto allo stesso mese del 2022. Il tasso di occupazione si è accresciuto, raggiungendo il 61,5%, il valore più elevato di sempre. Ma i problemi strutturali del mercato del lavoro, che si manifestano da anni ormai, sono rimasti inalterati.

Inoltre, i disoccupati sono diminuiti, rispetto a luglio, di 62.000 unità e di 185.000 rispetto al mese di agosto del 2022.

Il tasso di disoccupazione è stato pari al 7,3%, il valore minimo da oltre 14 anni.

Questi dati, recentemente resi noti dall’Istat, non possono che essere valutati positivamente, senza dubbio.

Ma l’analisi della situazione attuale del mercato del lavoro non può limitarsi a questi dati.

Infatti, non si sono modificati i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano, che da molti anni ormai persistono.

Quali sono questi problemi?

In primo luogo il tasso di disoccupazione giovanile rimane particolarmente elevato, è pari al 22%, mentre in quasi tutti i Paesi dell’Unione europea e dell’Ocse questo tasso di disoccupazione è decisamente più basso. In Germania, addirittura, è pari al 5,7%.

Il tasso di occupazione femminile è troppo basso, pari al 52,5%, notevolmente inferiore al tasso di occupazione maschile pari al 70,5%. Anche il tasso di disoccupazione femminile è molto alto e di gran lunga più elevato del tasso di disoccupazione femminile.

E, ugualmente, le differenze con quanto avviene in molti altri Paesi sono molto consistenti.

Quindi, in Italia, ci sono molti giovani disoccupati e poche donne occupate.

E nelle regioni meridionali la situazione è ancora più preoccupante.

Pertanto mi sembrano del tutto fuori luogo le valutazioni entusiastiche espresse da esponenti del governo e dei partiti di centrodestra a commento dei dati sul mercato del lavoro relativi al mese di agosto.

Del resto, l’attuale governo non ha predisposto interventi efficaci affinchè possano essere affrontati quei problemi strutturali che ho evidenziato.

Inoltre, non ci si può limitare ad esaminare l’andamento del valore complessivo degli occupati e dei disoccupati.

Andrebbe analizzato anche l’andamento del numero degli occupati dipendenti e di quelli indipendenti, ad esempio, e le condizioni, economiche e non solo, dei lavoratori dipendenti, sempre più contraddistinti da una evidente precarietà e da remunerazioni insufficienti, soprattutto in presenza di un tasso di inflazione ancora elevato.


L’importanza dell’economia della bellezza

2 ottobre 2023

In Italia la cosiddetta “economia della bellezza” assume notevole importanza. Questo è il principale risultato dello studio, recentemente reso noto, promosso da banca Ifis. L’economia della bellezza vale 500 miliardi di euro, addirittura il 26% del Pil italiano.

Innanzitutto, cosa si intende per economia della bellezza? Tale settore economico comprende tutte quelle attività volte alla valorizzazione del patrimonio culturale, architettonico, enogastronomico, di tradizioni, di identità, del nostro Paese.

Nel 2022 non solo l’economia della bellezza ha assunto quel peso all’inizio evidenziato ma il suo valore è aumentato del 16% rispetto al 2021 e dell’8% rispetto al 2019.

Quindi ha contribuito notevolmente alla crescita economica verificatasi dopo la diffusione della pandemia. Infatti l’economia della bellezza è cresciuta, rispetto al 2021, il doppio rispetto al resto del sistema produttivo.

La crescita è stata intensa in tutti i comparti e ha riguardato sia le imprese guidate da una forte componente di design sia le imprese guidate da uno scopo sociale.

Rispetto al 2019, i comporti maggiormente interessati dalla crescita sono stati l’agroalimentare e il turismo, in misura minore ma comunque molto significativa, la tecnologia, la cosmetica, il sistema casa, l’ambiente, l’orologeria, la gioielleria e l’ “automotive”.

Spesso, nell’ambito dell’economia della bellezza, un ruolo importante viene svolto dagli artigiani, che, frequentemente però, si trovano ad affrontare notevoli difficoltà.

Rispetto al 2000 le imprese artigiane, infatti, sono diminuite del 32%, e si è registrato un deciso invecchiamento dei loro titolari.

Negli ultimi due anni  molte imprese artigiane, il 41%, si sono trovate di fronte alla necessità di affrontare un passaggio generazionale.

E le più comuni strategie per garantire continuità alle imprese sono il mantenimento della tradizione familiare e la formazione diretta di nuovo personale.

Per raggiungere tali obiettivi gli artigiani chiedono però anche modifiche agli attuali programmi scolastici attraverso il potenziamento di percorsi di studio che siano capaci di mostrare ai giovani la creatività connessa con i lavori artigiani e di accendere così la loro immaginazione.

In parallelo, auspicano inoltre l’introduzione di incentivi fiscali per chi intraprende un’attività in questo settore. 

Comunque, a mio avviso, va attribuita una maggiore attenzione non solo alle imprese artigiane ma a tutti i comparti dell’economia della bellezza.

E uno dei motivi che determinano l’insufficiente interesse, soprattutto da parte delle autorità pubbliche, è senza dubbio la scarsa consapevolezza dell’importanza dell’economia della bellezza.

Per questo occorre ricordare, ancora una volta, che il settore in questione rappresenta il 26% del Pil del nostro Paese.