Cresce il divario nel reddito tra Nord e Sud

29 marzo 2018

Non è certo una novità la notevole differenza tra le regioni settentrionali e quelle meridionali per quanto riguarda il reddito. Nelle prime il valore del reddito pro capite è da sempre più elevato rispetto a quello che si verifica nelle seconde. Ma tale divario si è accresciuto negli ultimi 10 anni, cioè negli anni della crisi.

A tale conclusione si può pervenire anche utilizzando i dati forniti dal dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, relativi ai redditi Irpef dichiarati dai contribuenti nel 2016.

Infatti se si confrontano tali dati con quelli del 2006, si può rilevare che, tra il 2006 e il 2016, il reddito è diminuito dello 0,2% nelle regioni settentrionali e del 3,0% in quelle meridionali. La riduzione verificatasi nelle regioni del centro Italia è stata invece pari all’1,0%.

E ciò dimostra chiaramente che il divario nel reddito, nel periodo considerato, si è accresciuto, tra il Nord e il Sud dell’Italia.

Le diminuzioni più accentuate, tra le regioni meridionali, si sono verificate in Sicilia (-3,5%) e in Campania (-2,8%).

Pertanto risulta confermato che la crisi ha accresciuto le diseguaglianze economiche anche all’interno del nostro Paese, come verificatosi in altre nazioni.

Inoltre, se si considerano i valori, espressi in euro, assunti dal reddito medio, dato dal rapporto tra il reddito complessivamente dichiarato e il numero dei contribuenti, nel 2016, nelle diverse regioni italiane, risulta evidente che il divario tra regioni settentrionali e quelle meridionali è particolarmente consistente.

Valle d’Aosta 22.260

Piemonte 22.490

Lombardia 24.750

Trentino-Alto Adige 22.413

Friuli 21.890

Veneto 21.990

Emilia Romagna 23.020

Toscana 21.520

Umbria 19.750

Marche 19.640

Lazio 22.910

Abruzzo 17.830

Molise 16.030

Campania 17.140

Puglia 16.230

Basilicata 16.080

Calabria 14.950

Sicilia 16.270

Sardegna 17.730

Questa crescita nel divario, relativo al reddito, tra Nord e Sud, può assumere anche un significato politico: può essere considerata una delle cause che hanno determinato il diverso comportamento elettorale manifestatosi, nelle recenti elezioni politiche, nelle regioni settentrionali e in quelle meridionali.


A Scandicci sputi e violenze su un alunno disabile

28 marzo 2018

Un ragazzo disabile è stato vittima di bullismo da parte di alcuni compagni di classe che lo hanno isolato e deriso ripetutamente, talvolta con violenze fisiche e psicologiche e con sputi. Il caso si è verificato in una scuola di Scandicci, in provincia di Firenze, ed è stato reso noto dopo una denuncia a carico di due sedicenni da parte dei genitori della vittima. Le vessazioni subìte dal ragazzo disabile lo avrebbero indotto a smettere di frequentare la scuola.

La gravità di quanto avvenuto ha indotto l’assessore alle politiche sociali della Regione Toscana, Stefania Saccardi, a rilasciare alcune dichiarazioni.

“Quello di Scandicci è purtroppo l’ennesimo caso di bullismo tra i banchi di scuola – ha commentato Stefania Saccardi.

Il bullismo è un fenomeno stratificato anche tra i bambini e nasconde problematiche psicologiche profonde che vanno combattute e prevenute. Ecco perché, come Regione Toscana abbiamo stipulato un accordo insieme all’assessorato all’istruzione, all’Ufficio scolastico regionale per la Toscana e l’Università di Firenze-Dipartimento di scienze della formazione e psicologia, con l’obiettivo di prevenire e contrastare il fenomeno nelle scuole della Toscana”.

“Nello specifico – ha aggiunto Saccardi – sosteniamo il programma di prevenzione No Trap, che, attraverso un modello di peer education (da pari a pari) e peer support, mira a incentivare una responsabilizzazione attiva dei ragazzi”.

In base al progetto, attraverso una formazione sistematica si cerca di aumentare la percezione di autoefficacia dei ragazzi stessi e di stimolare in loro un senso di responsabilità nei confronti della vittima.

Successivamente, i peer educators lavorano attivamente con i compagni, assumendo un ruolo di modello positivo, promuovendo comportamenti prosociali e di difesa della vittima. I ragazzi, dopo il training formativo, intervengono anche on line, nella community del progetto, per dare il proprio aiuto e supporto a tutti coloro che si sentono in difficoltà.

L’obiettivo è far passare il messaggio che facendo finta di niente tutti noi siamo in parte responsabili della sofferenza della vittima, ma che unendo le forze possiamo invece fare qualcosa per porre fine alle prepotenze.

La gravità dell’episodio mi sembra evidente.

Purtroppo non è un caso isolato, in Toscana e nelle altre regioni italiane.

Progetti quali quello descritto possono risultare senza dubbio utili per contrastare il fenomeno.

Credo però che siano necessari interventi di maggiore rilievo e soprattutto estesi su tutto il territorio nazionale, promossi in primo luogo dal governo nazionale.


Amnesty International, una campagna elettorale piena di odio

22 marzo 2018

La sezione italiana di Amnesty International, in occasione della campagna elettorale recentemente conclusasi, ha promosso un’iniziativa denominata “Conta fino a 10. Barometro dell’odio in campagna elettorale”. Circa 600 attivisti, tra appartenenti a gruppi territoriali, volontari reclutati per il progetto specifico e componenti del gruppo di lavoro-task force “hate speech”, hanno monitorato i profili facebook e twitter di 1.419 candidati per tre settimane dall’8 febbraio al 2 marzo.

Tramite la compilazione di una scheda on line, gli attivisti hanno segnalato l’uso di stereotipi, le dichiarazioni offensive, razziste, discriminatorie e il discorso di odio, che avevano come bersaglio categorie vulnerabili quali migranti e rifugiati, immigrati, rom, persone lgbti, donne, comunità ebraiche e islamiche.

787 sono state le segnalazioni: razzismo e xenofobia l’83%, discriminazione religiosa il 10%, discriminazione di genere il 7%.

Quali le riflessioni Amnesty Italia sui risultati ottenuti?

“Lo immaginavamo e ne abbiamo avuto conferma. Per quasi un mese abbiamo ascoltato centinaia di voci, letto migliaia di frasi, analizzato parole e significati.

Il discorso di odio è parte del discorso politico italiano. Molte forze politiche italiane si sono servite di stereotipi e incitazioni all’odio per fare propri diffusi sentimenti populisti, identitari e xenofobi.

Abbiamo visto come è facile rafforzare gli schemi dell’intolleranza e della discriminazione nei confronti di minoranze e gruppi vulnerabili – migranti e rifugiati, donne, persone lgbti – trasformandole in categorie bersaglio.

La fabbrica della paura che produce odio, a maggior ragione in periodo di campagna elettorale, si è nutrita della narrativa dell’‘invasione’, dell’‘emergenza’ e della pericolosa retorica del ‘noi contro loro’.

Col suo corredo di ‘fake news’, i social media hanno rafforzato i pregiudizi già esistenti contro gruppi e minoranze, creando divisioni e intolleranza.

Abbiamo colto nel segno e toccato nervi scoperti, esponenti politici molto rilevanti hanno citato il nostro lavoro, chiesto chiarimenti e incontri.

Ma siamo fermi nell’andare avanti. Crediamo che le politiche dell’odio favoriscano sempre gravi passi indietro nei confronti dei diritti umani, di tutti, con conseguenze deleterie sul tessuto sociale e il vivere comune.

Per questo crediamo, e l’ultimo mese di lavoro fatto insieme ne ha dato ampia conferma, che il discorso di odio debba essere attentamente monitorato e contrastato”.

Ed Amnesty cosa intende fare nel prossimo futuro, a tale proposito?

“Il barometro dell’odio in campagna elettorale ha prodotto dati ed evidenze che analizzeremo, anche con il supporto di università e centri di ricerca, e condivideremo con tutti coloro che hanno contribuito ad un lavoro complesso e straordinario.

Sulla base di queste analisi e riflessioni individueremo nuove modalità di attivazione e ‘campaigning’. è una sfida nuova e difficile, per questo allargheremo la riflessione anche ad altre sezioni di Amnesty.

Torneremo a presidiare l’arena politica, coinvolgeremo il mondo dell’educazione e della formazione, continueremo il dialogo con i giornalisti e proveremo ad aprire un dialogo con i social media.

Nelle prossime settimane la campagna ‘Conta fino a 10’ si allargherà ad altri temi e contenuti”.


Nonostante il 21 marzo, l’impegno contro le mafie si è affievolito

16 marzo 2018

Il prossimo 21 marzo l’associazione Libera, presieduta da don Luigi Ciotti, celebrerà, come ogni anno la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, a Foggia. Mi sembra però che negli ultimi anni in Italia si sia affievolito l’impegno contro le mafie.

Perché a Foggia la manifestazione più importante della giornata del 21 marzo?

Così Libera motiva questa scelta:

“Perché la Puglia è una regione, una terra, colpita da gravissimi fatti di sangue, causati dalle mafie.

Tornare in Puglia e aver scelto in particolare quel territorio, non è una decisione casuale. Terra, solchi di verità e giustizia è il tema della XXIII edizione.

Replicando la “formula” adottata negli ultimi due anni, Foggia sarà il 21 marzo la “piazza” principale, ma simultaneamente, in migliaia di luoghi d’Italia, dell’Europa e dell’America Latina, la giornata della memoria e dell’impegno verrà vissuta attraverso la lettura dei nomi delle vittime e, di seguito, con momenti di riflessione e approfondimento.

Libera va a Foggia perché quella terra ha bisogno di essere raccontata. Libera va a Foggia perché le mafie del foggiano sono organizzazioni criminali molto pericolose che facciamo una tragica fatica a leggere. Perché, malgrado l’evidenza, la percezione della cittadinanza è ancora bassa.

Una mafia, quella foggiana, così invasiva da spaventare. Le mafie foggiane sparano mentre le altre mafie non sparano più. Le mafie foggiane, tutte le mafie foggiane, mantengono la loro evidenza violenta laddove le altre mafie impongono il silenzio.

Foggia è una città sotto attacco. La Capitanata è una provincia sotto attacco. Dall’inizio del 2017 sono 17 le persone morte ammazzate, cui si aggiungono due casi di “lupara bianca”, su una popolazione di 620.000 abitanti.

Un dato tanto impressionante quanto ignoto. La criminalità organizzata del foggiano vive dell’ignoranza che la circonda. Per esempio, quella di quanti continuano ad associarla alla Sacra corona unita, come fosse una cosa sola con quest’ultima. Cosa che non è, e anzi, le stesse mafie della provincia di Foggia hanno, tra loro, peculiarità che le differenziano.

E così, la manifestazione del prossimo 21 marzo serve innanzitutto a questo: a generare consapevolezza e a colmare un ritardo storico, figlio della sottovalutazione. Serve non a colpevolizzare un contesto, magari tacciandolo tout court per mafioso, ma a spiegare quel che ci raccontano le indagini, le inchieste, le morti per strada e nelle campagne, i fatti.

Serve a dire che la mafia foggiana è sì violenta e triviale, ma ha profondamente le mani nell’affare. E che i soldi di quell’affare, di quegli affari, vengono tolti a tutti. E che, quindi, le mafie sono il freno allo sviluppo, tanto economico quanto civile.

La manifestazione del prossimo 21 marzo è un modo per rompere in modo definitivo con questa logica muta, per riscattarsi dal fallimento culturale che non assolve nessuno, ma che coinvolge tutti. C’è da ricucire un nuovo tessuto sociale che abbia una fibra resistente.

La giornata dell’impegno e della memoria potrebbe essere utile a convogliare le forze di quanti siano disponibili a questo lavoro di sartoria comunitaria. Vige la convinzione di non poter cambiare le cose. C’è una speranza andata in cancrena e diventata tumorale. Non è tanto sfiducia nelle istituzioni, quanto piuttosto il patimento di chi sa di vivere in un luogo dove nemmeno il sacrificio della vita può cambiare lo stato delle cose…”.

La scelta di Libera mi sembra molto importante, non solo, per i motivi già citati, per avere deciso di svolgere la manifestazione di maggiore rilievo a Foggia, ma perché Libera continua a celebrare il 21 marzo la giornata della memoria e dell’impegno.

Più in generale ritengo di notevole importanza l’azione che, quotidianamente, Libera porta avanti, anche sul tema della corruzione, problematica molto legata alle attività delle mafie.

Credo però che nel nostro Paese l’attenzione nei confronti delle mafie è andata riducendosi nel corso degli ultimi anni, forse perché, nonostante gli atti di violenza quali quelli verificatisi nel Foggiano o a Napoli, le mafie sono diventate meno visibili perché complessivamente le morti da esse provocate sono diminuite.

Ma non per questo le mafie sono diventate meno pericolose. Le loro attività si sono estese, rendendole prevalentemente dei soggetti economici criminali molto potenti che operano ormai in tutta l’Italia e non solo nelle regioni meridionali, limitando fortemente le libertà di parti molto consistenti della nostra popolazione.

Meno morti e più affari. Così si potrebbe sintetizzare la trasformazione che ha contraddistinto le mafie negli ultimi anni.

E ciò è avvenuto soprattutto tramite una crescita delle relazioni con le pubbliche amministrazioni.

E’ per questo motivo che nei programmi elaborati dai diversi partiti in vista delle elezioni politiche del 4 marzo così poco spazio è stato attribuito alla necessità di efficaci azioni di contrasto nei confronti delle mafie?

E’ però certo che, invece, l’impegno contro le mafie si dovrebbe intensificare, soprattutto da parte del mondo politico, del governo, della magistratura e delle forze dell’ordine.

Ma per raggiungere questo obiettivo occorre una maggiore pressione popolare che solleciti questo impegno più intenso.

Tutti i giorni, non solo il 21 marzo, e non solo da parte di Libera.


Lav, gli animali non sono un lusso

15 marzo 2018

L’associazione animalista Lav (lega anti vivisezione) sta promuovendo una campagna denominata “Gli animali non solo un lusso”, con la quale si chiede l’adozione di provvedimenti fiscali rivolti a diminuire il costo connesso alla presenza in casa degli animali domestici.

E’ noto che sono sempre di più le famiglie che hanno degli animali in casa. Questo comporta dei costi non indifferenti.

E’ quindi auspicabile che tali costi si riducano considerevolmente, anche tramite dei provvedimenti di natura fiscale.

Finalizzata al raggiungimento di questo obiettivo, la Lav ha promosso la campagna “Gli animali non sono un lusso”.

Quali sono le richieste della Lav?

Sono le seguenti:

– la cancellazione dell’aliquota Iva sulle prestazioni veterinarie per animali adottati e riduzione di quella su prestazioni veterinarie e cibo per animali non tenuti a scopo di lucro (oggi invece si applica un’aliquota Iva del 22%, prevista per alcuni beni di lusso);

– abbattimento dei costi dei farmaci veterinari con il riconoscimento del farmaco generico anche in veterinaria e dell’uso del farmaco-equivalente;

– aumento della quota di detrazione fiscale delle spese veterinarie e dei farmaci veterinari dalla dichiarazione dei redditi, rendendola totale per chi adotta un cane o un gatto (oggi queste spese sono detraibili entro il limite esiguo di 387,34 euro, con uno sconto massimo irrisorio di 49,06).

La Lav infatti sostiene “vogliamo favorire un miglioramento della qualità di vita degli animali e un incremento delle adozioni, rendendo maggiormente sostenibile la spesa sostenuta dai cittadini, sia come privati che come sistema pubblico.

L’adozione di un cane o un gatto abbandonato, infatti, è un gesto d’amore, ma anche un fondamentale strumento di contrasto al randagismo, che assicura allo stesso tempo il rispetto per gli animali e un risparmio considerevole per tutta la collettività”.

Rappresentanti della Lav saranno nei prossimi giorni in molte piazze italiane per raccogliere firme a sostegno di una petizione “per un fisco non più nemico dei quattrozampe”.

Le proposte in campo fiscale della Lav e, più in generale, quelle rivolte a ridurre i costi economici che comportano la presenza di animali in casa, mi sembrano giuste e auspico quindi che ben presto possano essere accolte.


Alcune proposte per rigenerare il Pd

14 marzo 2018

La sconfitta del Pd nelle elezioni politiche del 4 marzo è stata pesante, una vera e propria disfatta. E’ possibile addirittura la scomparsa, nel breve-medio periodo, di questo partito dalla scena politica italiana.

Le dimissioni di Renzi sono da valutare positivamente.

Ma, certamente, non sono affatto sufficienti per rigenerare il Pd. E non solo perché le responsabilità della sconfitta sono addebitabili all’intero gruppo dirigente, anche se il principale responsabile è stato Renzi, ma perché in tutta Europa sono in serie difficoltà i partiti riformisti, i partiti della sinistra democratica, non solo in Italia.

Non è sufficiente pertanto cambiare il segretario.

Occorre in primo luogo precisare che un eventuale spostamento a sinistra del Pd non è affatto la giusta ricetta per affrontare la sua crisi. Lo dimostra chiaramente l’insuccesso di Liberi e Uguali.

Inoltre, a mio avviso, diversi sono i cambiamenti che sarebbe necessario promuovere per superare la crisi del Pd.

Tali cambiamenti non sono però tutti sullo stesso piano.

Prima di tutto, è indispensabile rinnovare radicalmente il modo di concepire la politica, soprattutto da parte della classe dirigente del Pd, a livello nazionale e a livello locale.

La grande maggioranza di tale classe dirigente ha inteso la politica come strumento per accrescere il potere del partito e il proprio potere, puntando esclusivamente al perseguimento di interessi personali.

Inoltre la selezione della classe dirigente è stata quasi sempre finalizzata a promuovere i più fidati, coloro ritenuti più affidabili. Invece devono essere considerate prioritarie le competenze, amministrative e tecniche.

Certo, la politica è anche gestione e ricerca del potere. Ma non può limitarsi a questo. Deve essere anche progetto, perseguimento dell’interesse generale, anche in un’ottica di medio-lungo periodo.

Peraltro, non tutti i cittadini che criticano la politica lo fanno perché qualunquisti, ma perché non ne possono più di esponenti politici che per la loro affermazione si basano solo sul clientelismo, se non talvolta sulla corruzione.

E’ indubbio che sia necessario anche un mutamento culturale dell’intera società italiana, al cui interno sempre di più prevale la ricerca dell’interesse personale, del familismo.

Non deve essere solo il mondo politico a cambiare. Ma chi fa politica deve dare l’esempio. Utilizzare e diffondere un modo diverso di concepire la politica, appunto.

E poi un altro cambiamento necessario riguarda le politiche da mettere in campo. O meglio ancora gli obiettivi che prioritariamente si devono perseguire.

In questo periodo storico, per riconquistare il sostegno dei ceti popolari, ed anche del ceto medio, prioritario deve essere il contrasto alle diseguaglianze economiche e sociali che anche in Italia, con la crisi, si sono accentuate considerevolmente. Ad esempio il contrasto nei confronti del lavoro precario che colpisce soprattutto i giovani, i quali devono essere tenuti in maggiore considerazione, non pensando solamente ed esclusivamente agli anziani, ai pensionati e ai pensionandi.

Anche in questo modo si potrà realizzare un rapporto più stretto e costante con i diversi territori, ritenuto indispensabile, giustamente, da molti.

Il contrasto nei confronti di tali diseguaglianze incontra, oggettivamente, delle difficoltà non facili da superare, in seguito all’inadeguatezza delle risorse finanziarie pubbliche a disposizione (questo è un altro dei vari motivi che rendono necessaria la riduzione del debito pubblico).

Ma si può provare a superarle innanzitutto attuando una vera “spending review”, orientando la spesa pubblica verso quell’obiettivo, riducendo gli sprechi e aumentando davvero la produttività delle pubbliche amministrazioni.

E tramite la realizzazione di iniziative volte ad accrescere la produttività anche del settore produttivo privato, aumentando così il prodotto potenziale, permettendo così tramite un incremento delle entrate tributarie – ottenibile anche con una vera e più intensa lotta all’evasione fiscale -, il verificarsi di una crescita delle risorse finanziarie pubbliche.

Ma una politica volta a sviluppare gli interventi per combattere le diseguaglianze richiede più Europa, non meno Europa. Richiede cioè un impegno affinchè l’Unione europea accresca considerevolmente le proprie funzioni, indirizzandole però, con le necessarie alleanze con i partiti e i governi dei Paesi più importanti, come la Germania e la Francia, proprio verso la riduzione delle diseguaglianze e verso la crescita dell’occupazione.

Questa azione di cambiamento non è certo facile da realizzare. Soprattutto perché richiede che si affrontino problemi di notevole portata e che riguardano quanto meno l’intera Europa e che sono influenzati considerevolmente dalla cosiddetta globalizzazione.

Ma il Pd deve provare a portarla avanti, non solo nel proprio interesse, non solo per evitare la propria scomparsa dallo scenario politico italiano, ma per contribuire allo sviluppo del sistema economico e sociale dell’intero Paese, con un’attenzione particolare al Sud, area territoriale dove si annidano la maggiore parte delle diseguaglianze esistenti, nella consapevolezza del fatto che il Movimento 5 Stelle e la Lega sono del tutto inadeguati a perseguire tali obiettivi.


Save the Children, i gravi problemi di milioni di bambine e ragazze

8 marzo 2018

Secondo Save the Children essere bambine e ragazze nella maggior parte dei Paesi del mondo significa ancora oggi diritti negati, violenze fisiche, psicologiche o sessuali. Anche l’accesso a una risorsa fondamentale come la scuola è precluso a circa 62 milioni di loro e, tra queste, per una su 4 scuola ed educazione rimarranno un sogno per tutto l’arco della vita.

Inoltre, più di 16 milioni e mezzo di ragazze partoriscono tra i 15 e i 19 anni nei Paesi in via di sviluppo, 2,5 milioni prima di compierne 16. Oltre a comportare gravi rischi per la salute delle mamme bambine e dei loro neonati, le complicazioni durante la gravidanza e il parto precoce sono la prima causa di morte per le giovani donne globalmente, con una stima annuale di 70.000 decessi tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni.

Salute e qualità della vita sessuale e riproduttiva rischiano di essere compromesse per un numero ancora più ampio di giovani donne. Sono infatti 30 milioni quelle esposte, secondo le stime relative al periodo 2016-2026, al rischio di subire una mutilazione genitale e le sue conseguenze, 12 milioni ogni anno quelle che si sposano prima dei 18 anni, e sono 2,6 milioni le ragazze e donne che vivono ancora oggi in paesi dove lo stupro coniugale non è considerato di fatto un crimine.

Quando le risorse economiche sono limitate, le norme sociali in molti luoghi stabiliscono che siano i bambini ad avere la priorità, lasciando alle bambine limitate opportunità per l’educazione e rischi maggiori per la salute e la nutrizione.

Oltre un terzo delle giovani donne nei Paesi in via di sviluppo è fuori dal circuito scolastico e lavorativo. Le ragazze sono spesso emarginate nelle famiglie e nelle decisioni pubbliche e le loro esigenze sottorappresentate nelle istituzioni.

C’è inoltre l’alto rischio di tratta e sfruttamento sessuale e lavorativo per quelle giovani in cerca di una vita migliore, che seguono false promesse per poi ritrovarsi intrappolate nel circuito criminale della prostituzione. Su 21 milioni di vittime di lavoro forzato in tutto il mondo, più di un quarto sono minori e soprattutto di sesso femminile, si tratta in gran parte di vittime di tratta e sfruttamento sessuale.

“Le bambine e le giovani di oggi saranno le donne e le mamme di domani, sono il motore del cambiamento. Le violazioni dei loro diritti hanno una conseguenza ancora più grave per il nostro futuro. L’educazione, ad esempio, è uno dei principali strumenti per combattere esclusione e discriminazioni che impediscono alle bambine di realizzare il proprio potenziale, come ci ha ricordato il premio Nobel Malala Yousafzai che ha detto di non voler essere ricordata come la ragazza a cui hanno sparato, ma come la ragazza che si alzò in piedi.

Adolescenti e giovani donne chiedono di essere libere di perseguire le proprie speranze e i propri sogni, libere di vivere la vita che scelgono di costruire per se stesse. E, invece, dalle testimonianze strazianti delle bambine Rohingya in fuga dal Myanmar alle spose precoci siriane, dalle studentesse rapite in Nigeria alle giovani vittime di tratta per lo sfruttamento sessuale nel Mediterraneo, quello che emerge è che le ragazze sono meno libere rispetto ai loro coetanei maschi di vivere la propria infanzia, di accedere all’istruzione o di prendere autonomamente decisioni fondamentali per il loro futuro,” ha affermato Daniela Fatarella, vice direttore generale di Save the Children Italia.

“Mobilitarsi per ogni bambina i cui diritti sono violati è il cuore di ogni azione di Save the Children, in particolare nell’ambito della salute materno-infantile, dell’educazione e della protezione dei minori nei contesti di vulnerabilità o emergenza, come i flussi migratori massici, i conflitti o le catastrofi naturali.

Chiediamo però alla comunità internazionale e ai governi di combattere attivamente i tre ostacoli principali all’eguaglianza di genere: i matrimoni precoci, lo scarso accesso ai servizi di base, inclusi salute e istruzione, il mancato ascolto della voce delle ragazze nei processi decisionali pubblici e privati. Queste tre barriere sono violazioni permanenti dei diritti delle bambine e delle adolescenti e rappresentano degli ostacoli enormi al progresso nelle aree di sviluppo” così ha concluso Daniela Fatarella.


Cosa si deve fare per mandare via Renzi?

7 marzo 2018

Dopo la pesante sconfitta subìta dal Pd nelle elezioni politiche del 4 marzo sembravano inevitabili le dimissioni del segretario Matteo Renzi. Al di là delle sue personali responsabilità, dopo una sconfitta di quelle dimensioni in ogni partito sarebbe stato naturale che il segretario, per l’incarico da lui assunto, si fosse immediatamente dimesso. E invece Renzi cosa ha fatto? Ha inventato le dimissioni differite. Di fatto le sue dimissioni dovrebbero diventare reali solo dopo la formazione del nuovo governo.

Renzi quindi vorrebbe gestire, per conto del Pd, la delicata fase del dopo voto, la fase dell’elezione dei nuovi presidenti della Camera e del Senato, delle consultazioni con il Presidente della Repubblica.

Peraltro nella conferenza stampa nella quale ha comunicato le sue intenzioni non ha per nulla tentato di individuare le vere cause della disfatta del Pd.

E la sua volontà di condurre il Pd all’opposizione senza alcuna partecipazione, diretta o indiretta, a governi nei quali siano presenti o la Lega o il movimento 5 stelle, non c’entra nulla con la sua intenzione di gestire ancora il Pd.

Il Pd, anche nel caso di dimissioni reali e immediate di Renzi, poteva tranquillamente prendere le decisioni più opportune circa il dopo voto, in quanto ha un vice segretario, Maurizio Martina, una direzione e un’assemblea, pienamente in funzione, anche la decisione di restare all’opposizione, decisione che io, che fra l’altro sono ancora iscritto al Pd, condivido.

Ribadisco però che non condivido la scelta delle finte dimissioni di Renzi, anche perché ritengo che una parte delle responsabilità della disfatta del Pd siano addebitabili proprio a Renzi, pur se non sono solo sue le responsabilità ma sono dell’intero gruppo dirigente.

Renzi, invece, con le sue finte dimissioni, consapevole o no che sia, sta cercando di distruggere il Pd.

Sta impedendo che si sviluppo una discussione approfondita sulle vere e molteplici cause alla base della disfatta del Pd.

“Muoia Sansone con tutti i filistei”, così potrebbe essere definito il comportamento di Renzi.

Pertanto Renzi ha dimostrato nuovamente di essere un irresponsabile, per non dire altro.

E Renzi, nella direzione della prossima settimana, va fermato, e si dovrebbe formare una maggioranza, all’interno di questo organo, che lo costringa ad andarsene da segretario del Pd.

Subito.


Uno strumento per ridurre le diseguaglianze, un forum

4 marzo 2018

E’ nato, recentemente, il forum sulle diseguaglianze e le diversità, su iniziativa della fondazione Basso, di un gruppo di organizzazioni da anni attive in Italia sul terreno dell’inclusione sociale e di ricercatori e accademici impegnati nello studio della disuguaglianza e delle sue negative conseguenze sullo sviluppo.

Riuniti in un “comitato promotore”, questi soggetti hanno scelto di lavorare insieme per dare vita a un luogo in grado di produrre e promuovere proposte che favoriscano la realizzazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione, rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Le organizzazioni facenti parte del comitato promotore sono ActionAid, Caritas Italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus cooperativa sociale, Fondazione Basso, Fondazione di comunità Messina, Legambiente, Uisp.

Tra le singole persone, presenti nel comitato, si possono citare, tra gli altri, Fabrizio Barca (Fondazione Basso), Carlo Borgomeo (Fondazione con il Sud), Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente), Maurizio Franzini (Università di Roma “La Sapienza”, Etica ed Economia), Giovanni Moro (Fondaca), Marco Rossi Doria (If-ImparareFare).

Perché la decisione di dare vita a questo forum?

Negli ultimi anni si è assistito, nei Paesi occidentali, a un diffuso aumento della disuguaglianza di reddito, una forte concentrazione della ricchezza, la creazione di fasce diffuse di “perdenti”, specie nelle periferie, nelle piccole città e nelle vaste aree rurali di ogni Paese, luoghi dove degrado sociale e degrado ambientale si sono alimentati l’un l’altro.

Queste disuguaglianze si sono aggiunte a disuguaglianze radicate e di lunga durata, in alcuni casi modificandone le caratteristiche, in altre amplificandone la portata.

Tali diseguaglianze hanno prodotto effetti negativi sulla stessa crescita e poi sulla “crisi” iniziata nel 2008.

E hanno avuto effetti politici ora appariscenti: un diffuso rifiuto della concorrenza e della libertà di circolazione; una crescente intolleranza per le diversità; una sorta di “esodo dalla cittadinanza” con sentimenti di diffidenza e risentimento verso tutto ciò che è istituzione; la richiesta di “poteri forti”; infine, il rigetto della “globalizzazione” – termine assai elusivo – tout court, come se l’integrazione dei mercati e la riduzione di distanza fra luoghi e individui sia responsabile in sé di tutto ciò, e non lo siano piuttosto le politiche nazionali e internazionali che hanno attuato e accompagnato questi processi.

Peraltro la globalizzazione ha consentito in alcuni Paesi emergenti, tra i quali soprattutto la Cina e l’India, l’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e la formazione di un nuovo ceto medio, vasto oggi come quello dell’Occidente.

Però una terza parte del mondo, specie nel continente africano, ha visto immutata o addirittura peggiorata la propria situazione, con conseguenti disastri umani e creando le condizioni per le massicce migrazioni in atto.

Così il cerchio si è chiuso.

I “perdenti” dell’Occidente si sentono insidiati sia dal nuovo ceto medio dei paesi emergenti, sia dai “poveri che ci invadono”. E sono tentati di volgere contro di loro e contro le frontiere aperte le proprie preoccupazioni, anziché verso politiche sbagliate.

La vicenda dell’Italia, a parte le note differenze, ricalca questa traccia.

In Italia, infatti, la disuguaglianza di reddito mostra un trend crescente a partire dall’inizio degli anni ’80, comunque misurata.

La crisi ha ridotto i redditi famigliari lungo tutta la distribuzione, ma ha avuto effetti più forti soprattutto per le fasce meno abbienti o povere, meno tutelate dalla rete di protezione sociale e più esposte alla caduta della domanda di lavoro: secondo alcune stime, nel 2014, il 10% di italiani con il reddito più basso, aveva in media a disposizione un reddito inferiore di circa un quarto rispetto a quello del 2008.

Quasi un cittadino ogni otto vive in “condizioni di grave deprivazione materiale”. Fortemente cresciuta rispetto agli anni ’80 è la quota di reddito e di ricchezza dell’1% più ricco.

E infine, come altrove, per fasce ampie della popolazione, alle minacce economiche (reddito e prospettive di lavoro) e sociali (accesso e qualità dei servizi fondamentali) si somma una minaccia normativa e culturale: ai propri valori e norme di comportamento, alla propria omogeneità, al proprio bisogno di protezione da parte di un’autorità affidabile.

Cosa intende fare in Italia, in questa situazione, il forum?

Il comitato promotore del forum parte dal patrimonio di conoscenze e di “saper fare” annidato in una crescente moltitudine di pratiche attuate da organizzazioni di cittadinanza di diversa matrice culturale nei territori e nelle comunità del nostro Paese, spesso in alleanza con pionieri nelle imprese private e nella pubblica amministrazione.

E combina questo con la qualità della ricerca italiana, teorica e applicata, nel campo delle disuguaglianze, indispensabile per passare dai “mille fiori” alla ripresa di un processo sistemico di avanzamento sociale.

L’incontro che ne deriva è un progetto comune fra associazionismo e mondo della ricerca, in cui il primo rafforza gli strumenti per cogliere i profili sistemici del proprio agire e cerca di unificare i propri linguaggi, il secondo orienta l’analisi alle domande che vengono dal primo, estraendo dalle sue esperienze territoriali materiali e dati per ricercare.

Ed il forum, sospinto in modo congiunto da associazioni e ricercatori, si caratterizza per due tratti: l’attenzione alle esperienze concrete delle persone nei territori; la costruzione di una vera e propria “piattaforma condivisa di conoscenza e confronto”, innervata da dati e informazioni nazionali e territoriali.

In questo modo, la proposta di azioni pubbliche (norme, regolamenti, pratiche di intervento) o private e il lancio di campagne sarà radicato sia nella valutazione comparata degli interventi esistenti, sia nella conoscenza circostanziata delle esperienze e delle tendenze nei diversi territori del Paese.

Il forum guarderà a quattro diverse dimensioni delle disuguaglianze: di reddito e ricchezza; di accesso e qualità dei servizi fondamentali; di accesso a un lavoro non subalterno e alla possibilità di fare impresa; di partecipazione politica.

Di biennio in biennio l’attività si concentrerà su un tema. E’ stato deciso di partire dalla disuguaglianza di ricchezza, privata e comune. Questa scelta è dettata, non solo dalla dimensione e dalla crescita di questa disuguaglianza, ma soprattutto dalla pervasività dei suoi effetti.

Io ritengo che la nascita di questo forum sia da valutare in modo fortemente positivo.

Spero però che le sue proposte siano recepite dalle istituzioni competenti e che comunque quest’ultime si impegnino maggiormente e concretamente per ridurre le diseguaglianze, in Italia.

Certo, se si considera che il tema della diseguaglianze è stato quasi del tutto assente nella campagna elettorale appena conclusasi, è poco probabile che questa mia speranza si traduca in realtà.