Sarà stagflazione?

11 ottobre 2021

In molti Paesi sviluppati, tra i quali l’Italia, si sta manifestando un aumento dei prezzi, determinato soprattutto dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici e delle materie prime. Alcuni osservatori stanno ipotizzando che potrebbe determinarsi di nuovo un fenomeno che diversi anni fa, negli anni 70 del precedente secolo soprattutto, è avvenuto alcune volte: inflazione e ristagno economico, ristagno delle attività produttive.

Il ristagno economico, l’arrestarsi quindi della crescita del Pil, potrebbe essere causato dal modificarsi delle politiche monetarie delle banche centrali che, per contrastare l’inflazione, potrebbero cessare gli interventi espansivi ed adottare invece politiche restrittive.

Tale scenario non è condiviso da tutti gli economisti, anzi per ora solo una parte di essi lo prevedono.

Ma, nell’ambito delle banche centrali, i “falchi”, coloro che ritengono necessario adottare politiche monetarie restrittive, stanno già sostenendo che tali politiche dovrebbero essere attuate subito.

In realtà, la discussione si sta manifestando circa la natura degli incrementi dei prezzi. Infatti per ora tali aumenti vengono considerati da molti temporanei, determinati da fattori inerenti l’offerta non la domanda, e che nei prossimi mesi dovrebbero esaurirsi.

Ci si attende soprattutto che nei prossimi mesi vi sia una maggiore disponibilità di prodotti energetici che determinerebbe una riduzione dei loro prezzi.

E se la natura degli incrementi dei prezzi fosse davvero temporanea non sarebbe opportuno modificare adesso le politiche monetarie in senso restrittivo e quindi la stagnazione non si verificherebbe.

Io credo che sia valida l’opinione di quanti avvalorano la tesi della natura temporanea degli aumenti dei prezzi in questione.

Può essere utile comunque riportare alcune parti dell’articolo di Rony Hamaui, pubblicato di recente su www.lavoce.info e dedicato a questi temi.

Rony Hamaui rileva soprattutto le differenze tra la situazione attuale e quella che caratterizzo gli anni ’70 del secolo precedente spesso contraddistinto appunto dalla stagflazione.

“La situazione di oggi, tuttavia, sembra per molti aspetti diversa da quella degli anni Settanta.

Da un lato, usciamo dalla più pesante deflazione degli ultimi settanta anni e la ripresa appare vigorosa anche se incerta.

In molti Paesi la capacità occupata rimane ancora sotto i livelli precrisi, mentre è ripartita una nuova fase d’investimenti che è destinata a incrementare l’offerta e aumentare l’efficienza produttiva.

Inoltre, le banche centrali godono, almeno nei paesi avanzati, di un’indipendenza e di una credibilità che certamente non avevano negli anni Settanta.

Dall’altro, oggi i bilanci pubblici, ma anche privati, presentano livelli di debito da economia di guerra, che necessitano non solo di bassi tassi d’interesse e di una forte crescita ma anche di un po’ d’inflazione.

Solo così il debito accumulato risulta sostenibile, soprattutto se rapportato al Pil nominale.

Si spiega così l’imbarazzo delle banche centrali nell’abbandonare gli straordinari stimoli che hanno dovuto adottare per contrastare la peggiore epidemia dell’ultimo secolo, ma ciò pone in discussione la loro effettiva indipendenza.

In fin dei conti, è probabile che non assisteremo a una forte e duratura stagflazione, ma il rischio che l’economia mondiale rallenti e che una moderata inflazione duri più a lungo del voluto è certamente da mettere in conto.

Di qua la necessità del governo Draghi di accelerare le riforme previste dal Recovery Plan e di augurarsi che la Banca centrale europea non legga il suo mandato alla stabilità dei prezzi in maniera rigida”.