Spesso, nell’amministrazione del nostro Paese, come in occasione della recente crisi di governo che ha affossato il governo Draghi, si sostiene che le responsabilità dei problemi che si verificano sono esclusivamente degli esponenti politici, inadeguati a svolgere i loro compiti, interessati solamente alla gestione e alla ricerca del potere.
In effetti sono diversi anni che da parte dei cittadini si manifestano forti critiche nei confronti del mondo politico, dei partiti, in modo indiscriminato, tanto che da tempo si parla del diffondersi dell’antipolitica.
Una delle conseguenze più evidenti di tale situazione è rappresentata dal crescente astensionismo che si verifica nelle elezioni, sia locali che nazionali.
C’è chi rileva però, come il sottoscritto, e ad esempio Michele Serra, che le responsabilità sono anche degli elettori che scelgono i loro rappresentanti, nelle diverse elezioni, e che quindi i politici, in ultima analisi, sono lo specchio del Paese.
Si afferma anche che la società italiana ha i politici che si merita.
Vittorio Pelligra, in un recente articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, non è d’accordo e scrive: “Esistono intelligenze, nel Paese, che farebbero, alla prova dei fatti, molto meglio di una classe politica che si è dimostrata spesso sciatta, cinica e arruffona. Energie e intelligenze, però, che si sono sistematicamente allontanate dall’impegno politico diretto a causa dell’idea che della politica è stata scientemente costruita”.
Al termine del suo articolo Pelligra corregge un po’ il tiro, prendendosela anche con la cosiddetta società civile:
“E però è anche responsabilità del ‘terzo pilastro’, delle comunità civili organizzate, farsi avanti, in maniera determinata e determinante. Non per costruire un nuovo partito, ma per contaminare, svecchiare e innovare quelli esistenti, i loro programmi, le loro liturgie.
Servirebbe, in questo senso, un’azione coordinata e potente per creare una massa critica che risulti non più assimilabile e sterilizzabile.
Non è più tempo di una società civile che vive nel suo isolamento più o meno snobistico, perché non può esserci una società veramente civile che non sia anche, e soprattutto, una società politica.
Perché il nostro Paese ha un disperato bisogno di concretezza e novità, non di gente che guarda dall’altra parte”.
In linea di massima sono abbastanza d’accordo con l’ultima parte dell’articolo di Pelligra, ma due sono gli interrogativi che le sue considerazioni mi suscitano:
I gruppi dirigenti dei partiti non sarebbero in grado di impedire e annullare quell’azione coordinata e potente che le comunità civili organizzate dovrebbero promuovere?
Le comunità civili organizzate quante sono e soprattutto quanto sono forti, in maniera tale da potere effettivamente realizzare quell’azione coordinata e potente?
E poi il problema non è solamente quello di inserire nei partiti persone competenti e innovative, ma anche persone che intendano perseguire in primo luogo l’interesse generale.
Io ritengo che, attualmente purtroppo, e non credo di essere troppo pessimista, nella società italiana prevalgano persone che pensano esclusivamente al proprio interesse, nella vita quotidiana, non solamente in rapporto con la politica.
Di queste persone ce n’erano molte anche venti o trenta anni fa ma ora sono aumentate considerevolmente.
E quindi molte di loro criticano i politici ma in realtà si comportano come loro nelle attività che non riguardano la politica.
Pertanto, costoro, possono essere davvero un’alternativa agli esponenti politici che guidano i partiti?
In conclusione, al di là delle comunità civili organizzate, ritengo che sia necessario promuovere in Italia, come in molti altri Paesi occidentali, nelle cosiddette democrazie liberali, una rivoluzione culturale molto diffusa che muti considerevolmente i valori che vengono considerati i più rilevanti dalla gran parte delle popolazioni.
Può servire quell’azione ipotizzata da Pelligra, relativamente alle comunità civili organizzate, ma non è sufficiente.