Il 5% delle famiglie italiane dispone di circa il 46% della ricchezza netta totale. Questo è uno dei principali risultati dello studio della Banca d’Italia sui conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie.
Quindi è legittimo sostenere che la distribuzione della ricchezza in Italia è contraddistinta dalla presenza di notevolissime disuguaglianze.
Certo i principali indici di disuguaglianza sono rimasti stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016.
Ma è altrettanto certo che le disuguaglianze nella ricchezza sono molto rilevanti e che sarebbe opportuno ridurle.
Le famiglie meno abbienti possono contare quasi esclusivamente sul possesso dell’abitazione mentre quelle più benestanti hanno una ricchezza piuttosto diversificata, composta anche da azioni, depositi e polizze.
Metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni ma tale valore varia fortemente in base all’entità della ricchezza.
Infatti per le famiglie che hanno un valore della ricchezza inferiore a quello medio le abitazioni rappresentano i tre quarti del totale della ricchezza e per le famiglie appartenenti alla classe più ricca rappresentano solo un terzo del totale.
Per le famiglie più povere i depositi sono l’unica componente rilevante (il 17%) di ricchezza finanziaria.
Molto più diversificato è il portafoglio delle famiglie più ricche: quasi un terzo della ricchezza è rappresentato da capitale di rischio legato alla produzione (azioni, partecipazione ad esempio) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative.
E quindi è proprio la composizione della ricchezza degli italiani, nell’ambito della quale una parte molto consistente è rappresentata dalle abitazioni, a ostacolare un aumento dell’imposizione sugli immobili.
Comunque sarebbe necessario aumentare le imposte sui grandi patrimoni, non finanziari e finanziari, per reperire le risorse necessarie da utilizzare per aumentare la spesa pubblica in settori dove ciò sarebbe molto importante, come la sanità e l’istruzione.