Poche famiglie hanno il 50% della ricchezza

22 gennaio 2024

Il 5% delle famiglie italiane dispone di circa il 46% della ricchezza netta totale. Questo è uno dei principali risultati dello studio della Banca d’Italia sui conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie.

Quindi è legittimo sostenere che la distribuzione della ricchezza in Italia è contraddistinta dalla presenza di notevolissime disuguaglianze.

Certo i principali indici di disuguaglianza sono rimasti stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016.

Ma è altrettanto certo che le disuguaglianze nella ricchezza sono molto rilevanti e che sarebbe opportuno ridurle.

Le famiglie meno abbienti possono contare quasi esclusivamente sul possesso dell’abitazione mentre quelle più benestanti hanno una ricchezza piuttosto diversificata, composta anche da azioni, depositi e polizze.

Metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni ma tale valore varia fortemente in base all’entità della ricchezza.

Infatti per le famiglie che hanno un valore della ricchezza inferiore a quello medio le abitazioni rappresentano i tre quarti del totale della ricchezza e per le famiglie appartenenti alla classe più ricca rappresentano solo un terzo del totale.

Per le famiglie più povere i depositi sono l’unica componente rilevante (il 17%) di ricchezza finanziaria.

Molto più diversificato è il portafoglio delle famiglie più ricche: quasi un terzo della ricchezza è rappresentato da capitale di rischio legato alla produzione (azioni, partecipazione ad esempio) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative.

E quindi è proprio la composizione della ricchezza degli italiani, nell’ambito della quale una parte molto consistente è rappresentata dalle abitazioni, a ostacolare un aumento dell’imposizione sugli immobili.

Comunque sarebbe necessario aumentare le imposte sui grandi patrimoni, non finanziari e finanziari, per reperire le risorse necessarie da utilizzare per aumentare la spesa pubblica in settori dove ciò sarebbe molto importante, come la sanità e l’istruzione.


Diminuisce il risparmio delle famiglie italiane

11 novembre 2019

Secondo il quarto rapporto della Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane la ricchezza delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile resta consistente, ma il tasso di risparmio continua a calare, registrando valori inferiori alla media dell’area euro. 

Infatti, la ricchezza netta delle famiglie italiane rimane stabile sui livelli del 2012 attestandosi a 9 volte il reddito disponibile; il dato medio per i paesi dell’area euro è 8 volte il reddito disponibile.

Ma il tasso di risparmio lordo (rispetto al reddito disponibile) continua a calare e ad attestarsi al di sotto della media dell’area euro: a fine 2017 risultava pari al 9,7%, a fronte dell’11.8% della media dell’Eurozona (nel 2004 aveva raggiunto il 15%, superando la media area euro di un punto percentuale).

La crisi del 2007-2008 ha segnato un punto di caduta, che sembrava destinato al recupero tra il 2012 e il 2014, rivelatosi poi solo temporaneo.

Con riferimento alle scelte di portafoglio, Italia ed Eurozona continuano a registrare il tradizionale divario nel peso della componente assicurativa e previdenziale, che nel contesto domestico rimane più contenuto anche se in crescita, e dei titoli obbligazionari, comunque in diminuzione.

Per quanto riguarda il livello di indebitamento, le famiglie italiane continuano ad essere più virtuose, registrando a fine 2017 un rapporto debito/Pil pari al 40% a fronte di poco meno del 60% per la media dell’area euro.

Per quanto riguarda l’inclusione finanziaria, la diffusione di alcuni prodotti e servizi bancari (conto corrente, carta di credito e carta di debito) vede l’Italia in linea con la media dell’area euro, grazie all’incremento registrato nel periodo 2011-2017.

In alcuni casi rimane un più accentuato gap di genere, che vede ad esempio carte di credito e di debito meno diffuso tra le donne, mentre si sta riassorbendo il gap per livello di istruzione e per livello di reddito.

Sono meno incoraggianti i dati relativi alla familiarità con gli strumenti di pagamento digitali, che vedono le famiglie italiane meno abituate a utilizzare il telefono mobile o internet per i pagamenti (poco più del 20% versus il 45% in Eurozona) e maggiormente ‘polarizzate’ in funzione di genere, reddito, livello di istruzione e occupazione.

Le conoscenze finanziarie degli italiani rimangono basse, anche se gli investitori sono più bravi di chi non investe.

In merito alle competenze di calcolo, strumento indispensabile per l’accrescimento della cultura finanziaria, solo il 23% degli intervistati mostra di avere familiarità con il concetto di probabilità.

Le conoscenze finanziarie delle famiglie italiane rimangono contenute: le nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, mutui, interesse composto) sono comprese da circa il 50% degli intervistati, mentre per i concetti più avanzati (relazione prezzo/tassi di interesse delle obbligazioni e rischiosità delle azioni) si registrano meno del 20% di risposte corrette.

Però gli investitori rispondono meglio: ad esempio, alle domande su inflazione e relazione rischio/rendimento rispondono correttamente 7 investitori su 10, a fronte di 5 non investitori su 10.

I dati rivelano, inoltre, un disallineamento fra conoscenze finanziarie reali e conoscenze percepite, che interessa circa il 30% degli intervistati. La propensione all’overconfidence (ossia a sopravvalutare le proprie conoscenze finanziarie) è meno frequente tra gli individui con maggiori conoscenze finanziarie.

Il quadro delle conoscenze finanziarie si completa con la cosiddetta risk literacy: posti di fronte alla domanda di ordinare alcuni strumenti finanziari (azioni, fondi azionari, derivati, obbligazioni non finanziarie) in funzione del livello di rischio, solo il 10% campione è in grado di ordinare correttamente le alternative di investimento per livello di rischio.

Meno di un italiano su due tiene una pianificazione finanziaria e risparmia in modo regolare.

Questi comportamenti sono più frequenti al crescere delle conoscenze finanziarie e in presenza di alcune attitudini personali (ad esempio, propensione all’uso di informazioni numeriche, auto-efficacia, auto-controllo, abilità di calcolo); viceversa, l’ansia finanziaria (ossia la propensione a provare disagio nella gestione delle proprie finanze) è correlata negativamente.

La maggior parte delle famiglie italiane si caratterizza per una capacità ancora contenuta di pianificazione e monitoraggio delle scelte finanziarie (cosiddetto financial control): il 40% circa degli intervistati non tiene un bilancio familiare; il 70% delle famiglie dichiara di controllare le spese, ma solo il 30% ne tiene traccia scritta; solo un terzo degli intervistati dichiara di avere un piano finanziario e di controllarne gli esiti.

L’attitudine alla pianificazione e al controllo si associa positivamente a conoscenze finanziarie, abilità di calcolo, inclinazione verso le informazioni numeriche e capacità di auto-controllo, mentre l’ansia funziona da deterrente.

Le famiglie intervistate risparmiano in modo regolare (soprattutto per motivi precauzionali) in meno del 40% dei casi e in modo occasionale nel 36% dei casi; il 25% non accantona nulla, soprattutto per vincoli di bilancio.

In generale, il risparmio regolare è più frequente tra i soggetti più abbienti; rilevano tuttavia anche le conoscenze finanziarie e le competenze percepite, l’abitudine a pianificare e talune inclinazioni (tra cui l’auto-efficacia, l’ansia finanziaria e l’avversione alle perdite).

Solo il 29% delle famiglie possiede almeno un prodotto o uno strumento finanziario.

Gli investitori si caratterizzano per maggiori conoscenze finanziarie e abilità di calcolo, nonché per alcune attitudini personali (ad esempio, propensione all’uso di informazioni numeriche, propensione al ragionamento impegnativo sul piano cognitivo, ottimismo, fiducia, tolleranza alle perdite nel breve termine); l’opposto vale rispetto all’ansia finanziaria.

Alla fine del 2017, il 29% delle famiglie possiede almeno un’attività finanziaria. A pesare di più nella composizione di portafoglio sono i fondi comuni e i titoli di Stato italiani (dopo i depositi bancari e postali).

Gli investimenti etici e socialmente responsabili (Sri) sono ancora poco conosciuti e poco attrattivi: più del 60% degli intervistati, infatti, dichiara di non averne mai sentito parlare e meno di un terzo manifesta interesse dopo essere stato informato degli elementi che in astratto li qualificano.

I comportamenti nel processo di investimento mostrano ancora numerose criticità.

La maggior parte degli intervistati dichiara di assumere le informazioni utili per l’investimento dal funzionario di banca. Solo il 25% degli intervistati fa riferimento al prospetto finanziario.

La maggioranza del campione ricorre ai consigli di amici e parenti (cosiddetta consulenza informale), poco più del 20% si affida alla consulenza professionale o delega un esperto, il 28% sceglie in autonomia.

Il 40% non monitora i propri investimenti.