Ci sarà la riforma del catasto? Difficile.

27 settembre 2021

Nell’ambito delle proposte relative alla riforma fiscale che il Governo dovrebbe varare nei prossimi mesi si è, di nuovo, discusso della possibilità di attuare una riforma del catasto, in primo luogo di modificare cioè le rendite catastali degli immobili per renderle maggiormente in sintonia con i valori di mercato.

Come altre volte in passato, diversi esponenti politici hanno manifestato la loro contrarietà ad attuare una riforma del catasto nel timore che essa possa determinare, di fatto, un aumento delle imposte sullecase ed anche causare dei cambiamenti nelle agevolazioni connesse al valore del cosiddetto Isee, influenzato anche dal valore delle rendite catastali degli immobili di proprietà di coloro che richiedono quelle agevolazioni.

In un articolo pubblicato su www.lavoce.info, scritto da Massimo Baldini, Silvia Giannini e Simone Pellegrino, sono contenute alcune considerazioni senza dubbio molto interessanti relative appunto alla riforma del catasto.

“Riformare il catasto non necessariamente implica un aggravio di imposta in questo comparto di imposizione.

Questo è però il timore più diffuso e, in Italia, da decenni, chi tocca la casa è politicamente sconfitto.

La giustificazione va ricercata nell’elevata quota (circa tre quarti) di famiglie proprietarie dell’immobile di residenza, nel non esiguo numero di famiglie proprietarie di altri immobili (circa un terzo)…

E’ anche poco il valore del gettito se guardiamo all’Imu derivante dagli immobili diversi dalla prima casa, 20 miliardi di euro in totale.

L’insieme delle imposte che gravano sugli immobili valgono in totale circa 40 miliardi, perché vanno considerate anche le altre imposte collegate agli immobili, come l’Iva, la cedolare secca, l’imposta di registro e di bollo, etc…

Il numero complessivo di immobili nel nostro Paese è di circa 64,4 milioni di unità, di cui 57,1 milioni di proprietà di persone fisiche.

Gli immobili del gruppo catastale A (le abitazioni comunemente intese), esclusi gli uffici, sono 34,9 milioni, di cui 32,2 milioni di proprietà di persone fisiche. Le cosiddette prime case sono 19,5 milioni, con 13,3 milioni di pertinenze.

Focalizzando l’attenzione sugli immobili non accatastati nel gruppo A, le pertinenze sono 11 milioni, 2 milioni i negozi, 0,7 milioni gli uffici, 1,6 milioni gli immobili ad uso produttivo, 1 milione quelli utilizzati per altri usi.

L’attuale sistema è caratterizzato anche da vistose inefficienze.

Ad esempio, sono circa 2,1 milioni gli immobili presenti in catasto ma non riscontrati nelle dichiarazioni dei contribuenti…

Un sistema tributario moderno non può permettersi di non saper accertare bene queste basi imponibili, incrociando le informazioni delle numerose banche dati oggi disponibili.

Inoltre, come osservato, le abitazioni di residenza secondo le dichiarazioni dei redditi sono 19,5 milioni.

Il numero di prime case stimate utilizzando le principali indagini campionarie sono inferiori, circa 1,5-2 milioni in meno.

Una quota non irrilevante di questa discrepanza deriva dal fatto che molti coniugi risiedono, dal punto di vista sostanziale, nella stessa abitazione, ma formalmente sono residenti in abitazioni differenti al fine di usufruire di benefici fiscali…

Vediamo ora qualche numero sulle rendite catastali.

Considerando l’intero gruppo A, esclusi gli uffici, la somma delle rendite catastali è pari ad appena 16,9 miliardi di euro, di cui 15,6 quelle di proprietà di persone fisiche.

Questo implica che la rendita catastale media è pari a meno di 500 euro annui.

Preme ricordare che la rendita catastale dovrebbe rispecchiare il canone di locazione che un proprietario potrebbe ricevere qualora decidesse di cedere in locazione la sua abitazione, il cosiddetto ‘affitto’ imputato, peraltro considerato nella definizione di prodotto interno lordo in quanto autoconsumo.

Ebbene, la rendita catastale è, oggi, pari a circa il 10-15% dell’‘affitto’ imputato. Questa profonda diversità dipende dall’arretratezza, in media, del nostro catasto.

Un discorso analogo vale per le altre tipologie di immobili. Ne emerge un quadro quanto meno desolante.

La sottovalutazione media delle rendite catastali si rispecchia anche nei valori considerati per la base imponibile ai fini Imu o, precedentemente, Ici…

Oggi, pertanto, il rapporto tra le rendite catastali e i valori patrimoniali non risponde più a un criterio teorico di determinazione del rendimento medio dei fabbricati.

Emerge l’incoerenza di fondo tra un sistema catastale nato per determinare e tassare le rendite e un sistema tributario che oggi è ispirato prevalentemente (più sulla carta che effettivamente) a tassare i valori patrimoniali o i trasferimenti di patrimoni…

Quello che oggi preoccupa prioritariamente non è soltanto la sottovalutazione di questi valori, ma i disallineamenti relativi dei valori reddituali e patrimoniali avvenuti nel tempo.

L’attuale sistema catastale, in assenza di revisioni e di una modalità di classamento coerente con le effettive caratteristiche dell’immobile, è dunque fonte di forti disparità sia ‘verticali’ (considerando cioè immobili di diverso pregio) sia ‘orizzontali’ (considerando cioè immobili simili).

Non è detto che l’esito della revisione dei valori catastali sia un aumento del gettito derivante dagli immobili: questa è una scelta politica.

A parità di gettito, è praticamente certo che si verificherà sia una redistribuzione tra comuni, da valutare attentamente in una logica di federalismo fiscale, sia una redistribuzione tra contribuenti.

Quest’ultimo aspetto non deve essere un freno per ogni riforma, per due motivi: non si possono pensare solo riforme che sempre e comunque riducono le imposte per tutti; se la revisione dei valori catastali dovesse comportare aggravi per qualcuno, evidentemente è perché egli è stato avvantaggiato in passato rispetto ad altri, da un catasto non aggiornato.

E per la stessa ragione, è del tutto possibile che qualcuno pagherà meno di prima.

In particolare, è noto che l’attuale catasto tende ad avvantaggiare soprattutto le abitazioni nelle zone centrali delle grandi città (perché accatastate prima) rispetto a quelle in periferia (accatastate più di recente), inducendo dunque una sorta di redistribuzione alla rovescia, da chi ha meno disponibilità di reddito (che vive prevalentemente in periferia) a chi ne ha di più e vive in centro.

Al massimo la riforma cambierà la distribuzione temporale dell’onere dell’imposta per i singoli contribuenti. Non uno scandalo.

Per concludere, si osserva che neanche i Paesi più efficienti rivedono il catasto ogni anno, non sarebbe neanche necessario. Detto ciò, tra non così tanti anni il nostro catasto compirà un secolo. Di tempo per pensare alla sua revisione ne abbiamo avuto fin troppo”.

Tali considerazioni  dovrebbero indurre a concludere che, in tempi brevi, risulterà necessario riformare il catasto.

Ho molti dubbi, però, che ciò avvenga, quanto meno nel breve periodo, proprio per i motivi rilevati all’inizio della parte dell’articolo in questione che ho qui riportato.