I nonni con i bambini contro la povertà educativa

13 giugno 2018

Presentato a Firenze un progetto che coinvolgerà quattro regioni, finanziato dal fondo per il contrasto alla povertà educativa  minorile, che coinvolgerà 300 nonni volontari, 1.000 bambini da 0 a 6 anni, 16 fra comuni e frazioni e 4 regioni: Lombardia, Toscana, Umbria e Basilicata. Il progetto è denominato “I nonni come fattore di potenziamento della comunità educante a sostegno delle fragilità genitoriali”. 

Capofila del progetto è Auser Lombardia

Si ricorda che l’Auser è una associazione di volontariato e di promozione sociale, impegnata nel favorire l’invecchiamento attivo degli anziani e valorizzare il loro ruolo nella società.

Le sue attività sono  rivolte in maniera prioritaria agli anziani, ma sono aperte alle relazioni di dialogo tra generazioni, nazionalità, culture diverse.

L’Auser è stata costituita nel 1989 dalla Cgil e dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil.

Il progetto sarà realizzato nell’ambito del bando per la prima infanzia affidato per la gestione da fondazione con il Sud all’impresa sociale “Con i bambini”.

Cosa dovrebbe avvenire?

I nonni volontari, con il loro bagaglio di esperienza e voglia di mettersi in gioco, daranno una mano  concreta a tante famiglie che si trovano in difficoltà, famiglie fragili che spesso vivono in territori dove i servizi scarseggiano.

Tutti seguiranno adeguati corsi di formazione e diventeranno a loro volta “nonni leader” in modo tale da trasferire ad altri nonni l’esperienza e diventando così dei veri e propri moltiplicatori di solidarietà.

Con l’aiuto dei nonni volontari i bambini e i loro genitori potranno contare su un accesso ai servizi del territorio più ampio e flessibile con forme di prolungamento dell’orario; i nonni potranno accompagnare i bambini a scuola o al nido.

Verranno realizzati spazi gioco e attività di laboratorio in cui le risorse dei volontari Auser potranno affiancare il personale educativo già coinvolto.

Le sedi Auser verranno utilizzate per accogliere, informare, creare comunità, organizzare momenti di formazione, informazione sulle tematiche inerenti la cura e la crescita del bambino. Saranno, inoltre, luoghi in cui condividere laboratori e momenti di festa.

Tutti gli interventi saranno finalizzati a  contrastare l’isolamento socio-culturale e la povertà educativa delle famiglie e a prevenire il rischio di deprivazione dei bambini.

In Lombardia sono stati scelti il grande hinterland milanese di Sesto San Giovanni e due comuni della provincia di Cremona dove molte famiglie vivono in casolari isolati e lontano da scuole e servizi; nel senese in Toscana si prevedono attività di sostegno a genitori “single” e a famiglie di migranti; in Umbria  sono stati scelti piccoli comuni e realtà che stanno accogliendo le comunità terremotate e in Basilicata  quattro comuni che hanno problemi di spopolamento e di integrazione dei migranti.

Il progetto ha come soggetto capofila Auser Lombardia ed è costituito da una vasta rete di partner tra cui Auser Toscana, Auser Umbria, Auser Basilicata, università Bicocca di Milano, università di Firenze, la fondazione Asilo Mariuccia di Milano, l’Istituto degli innocenti di Firenze, Comuni e cooperative sociali.

Durerà 3 anni, metterà radici creando una rete di solidarietà solida e strutturata.

Il finanziamento previsto supera i 2 milioni e 150.000 euro.

Il progetto è stato selezionato da “Con i Bambini” nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo.

Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori.

Per attuare i programmi del fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale “Con i Bambini”, www.conibambini.org, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla fondazione “Con il Sud”.

Il progetto mi sembra molto interessante.

Ovviamente non sconfiggerà completamente il grave problema rappresentato dalle povertà educativa minorile.

Può costituire, però, senza alcun dubbio, un modello che, se avrà successo, potrà essere replicato in altri territori del nostro Paese, affiancando l’operato che altri soggetti, enti, istituzioni, pubbliche amministrazioni, dovranno portare aventi per contrastare quel problema, operato quest’ultimo che dovrà essere anch’esso rafforzato considerevolmente.


Le equilibriste, le mamme italiane

7 Maggio 2016

mamma

Save the Children ha diffuso il rapporto “Le equilibriste – da scommessa a investimento: maternità in Italia”, nel quale ci si occupa della situazione che attualmente contraddistingue le madri italiane. Le mamme oggi in Italia sono in media un po’ più avanti negli anni, 31 e mezzo alla nascita dei figli, e molto raramente sono teenagers (meno di 2.000 i figli nati da madri minorenni), ma tutte, indistintamente, condividono una condizione inequivocabile di svantaggio sociale, professionale ed economico.

Le donne nel nostro Paese sono infatti costrette a un difficile equilibrismo tra la scelta di maternità e il carico dovuto alle cure familiari, ancora molto sbilanciato sulle loro spalle e reso ancor più gravoso dalla carenza di servizi di sostegno sul territorio, facendo al tempo stesso i conti con un mercato del lavoro che le penalizza a priori in quanto donne e diventa un problema ancora più grande quando arrivano i figli.

La regione più “mother friendly” di tutte risulta essere il Trentino Alto Adige, seguita da Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Piemonte e dalle altre regioni del centro-nord, che mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità, mentre la Calabria chiude in ultima posizione la speciale classifica fra le regioni italiane, ottenuta in base alle condizioni di vita delle madri, preceduta di poco da altre regioni del Sud come Puglia, Basilicata, Sicilia e Campania.

“Al di là della mappatura regionale sullo stato delle madri, con questo rapporto abbiamo anche cercato di leggere la realtà del nostro Paese dal punto di vista delle mamme.

Ne viene fuori uno spaccato dove le disparità di genere hanno ancora un impatto negativo decisivo sulla vita delle mamme. Donne che si ritrovano a svolgere, anche loro malgrado, un ruolo predominante nell’assicurare il benessere di bambini, adulti e anziani, senza alcuna retribuzione, ma pagando, al contrario, e in prima persona, un prezzo molto elevato nel mancato sviluppo personale e professionale,” ha dichiarato Raffaella Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children.

Se nel 2015 l’Italia si posiziona al 41° posto su 145 paesi nel rapporto globale sulle disparità di genere, segnando un miglioramento della condizione femminile rispetto a istruzione e presenza nelle istituzioni, la nostra posizione crolla al 111° posto se si prende in considerazione solo l’accesso delle donne al mercato del lavoro.

Un dato particolarmente negativo che trova una spiegazione nell’impegno preponderante, in particolare delle donne madri, nel lavoro di cura familiare.

Come evidenzia il rapporto di Save the Children, la pressione del lavoro di cura familiare riguarda in Italia circa 8 milioni di mamme tra i 25 e 64 anni che convivono con figli under 15 o under 25 ma ancora dipendenti economicamente da loro, ma si concentra maggiormente su quelle con almeno un figlio sotto i 5 anni (2,7 milioni di mamme) o tra i 6 e gli 11 anni (2 milioni).

L’aumento nel corso degli ultimi vent’anni delle separazioni (+70,7%) e dei divorzi (+100%), inoltre, ha moltiplicato il carico di cura ma in misura molto diversa tra uomini e donne, in sfavore di queste ultime: quasi una mamma su due (45,5%) tra i 35 e i 54 anni separata o divorziata vive da sola con i figli contro l’8,4% degli uomini.

Il carico preponderante di cure familiari per le mamme si intreccia con un mercato del lavoro che in Italia ne taglia fuori metà tra i 25 e i 64 anni, mentre solo una su tre in Europa trova le porte del lavoro chiuse (32,1%).

L’accesso al lavoro delle mamme in Italia si riduce ulteriormente se aumenta il numero dei figli: tra i 25 e i 49 anni il tasso di occupazione materna con 1 figlio è pari al 58,6%, ma si ferma a 54,2% se i figli sono 2 e non supera il 40,7% con 3 o più figli.

Anche quando lavora, 1 mamma su 3 si ritrova a fare ricorso al part-time, percentuale che cresce con il numero dei figli.

L’8,7% delle mamme che lavora o ha lavorato, poi, ha sperimentato un licenziamento forzato in caso di gravidanza, e la percentuale delle dimissioni in bianco sale ulteriormente se si tratta delle donne più giovani.

L’accesso al mercato del lavoro delle mamme dipende molto dalla possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra la loro vita personale e quella lavorativa.

Su questa sfida grava fortemente la diversa distribuzione del lavoro familiare tra uomini e donne.

Se si considera l’uso della risorsa più preziosa, il tempo, le donne italiane over15 dedicano al lavoro familiare non retribuito circa 5 ore e 9 minuti al giorno, contro le 2 ore e 22 minuti degli uomini, mentre in Norvegia, ad esempio, dove l’uguaglianza di genere è maggiore, l’impegno femminile in famiglia scende a 3 ore e 31 minuti.

Guardandosi intorno in cerca di sostegno, le mamme con un figlio dagli 0 ai 3 anni trovano per lo più l’aiuto dei nonni, nel 51,4% dei casi, quello di un asilo nido, 38,8%, di una colf, baby-sitter o badante (4,2%) o di altri familiari (2,5%), e solo nel 3,3% dei casi quello del compagno o del marito.

Inoltre, bisogna considerare che il 29,7% delle mamme lavoratrici che hanno un figlio 0-3 anni che non frequenta l’asilo nido desidererebbero che non fosse così, e indicano come maggiori ostacoli la retta tropo cara (50,2%) o la mancanza di posti (11,8%).

La presa in carico tra 0-3 anni degli asili nido e dei servizi integrativi e innovativi per la prima infanzia in Italia è infatti ferma al 13%, con il picco positivo in Emilia Romagna (26,8%) e il dato peggiore in Calabria (2,1%).

Uno scenario desolante che cambia però radicalmente per i bambini dai 4 ai 5 anni, che nel 95,1% dei casi frequentano la scuola dell’infanzia.

“Per sostenere concretamente le mamme in Italia – ha sottolineato Raffaela Milano – è necessario intervenire sia sul piano dei servizi che sul piano del lavoro.

E’ fondamentale rafforzare la rete dei servizi per la prima infanzia, in alcune aree del Paese oggi di fatto inesistente e, allo stesso tempo, occorre favorire e incentivare un cambiamento nel mondo del lavoro, sia pubblico che privato, affinché non penalizzi più, ma anzi valorizzi, le donne che sono mamme e che lavorano.

Alcuni segnali interessanti, anche se ancora limitati, vengono dal settore privato, la scelta operata dal 37% delle aziende italiane che hanno flessibilizzato l’orario di lavoro, o il 17,5% che ha attivato asili nido, servizi sociali, di assistenza, ricreativi o di sostegno con benefici riscontrabili su produttività e qualità del lavoro”.