In Italia 3 milioni di affamati

17 ottobre 2019

In Italia ci sono 2,7 milioni di affamati che nel 2018 sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare, di cui oltre il 55% concentrati nelle regioni del Mezzogiorno. E’ quanto emerge dalla prima mappa della fame in Italia elaborata dalla Coldiretti in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione promossa dalla Fao, sulla base dei dati sugli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea). 

A differenza di quanto si pensa – sottolinea la Coldiretti – il problema alimentare non riguarda solo il terzo mondo ma anche i Paesi più industrializzati dove le differenze sociali generano sacche di povertà ed emarginazione.

Le maggiori criticità in Italia – precisa la Coldiretti – si registrano in Campania con 554.000 di assistiti, in Sicilia con più di 378.000 ed in Calabria con quasi 300.000 ma anche nella ricca Lombardia dove si trovano quasi 229.000 persone in difficoltà alimentare.

Tra le categorie più deboli degli indigenti a livello nazionale si contano – continua la Coldiretti – 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi 197.000 anziani sopra i 65 anni e circa 103.000 senza fissa dimora.

La stragrande maggioranza di chi è stato costretto a ricorrere agli aiuti alimentari lo ha fatto attraverso la consegna di pacchi alimentari che rispondono maggiormente alle aspettative dei nuovi poveri (pensionati, disoccupati, famiglie con bambini) che, per vergogna, prediligono questa forma di sostegno piuttosto che il consumo di pasti gratuiti nelle strutture caritatevoli.

Infatti sono appena 113.000 quelli che si sono serviti delle mense dei poveri a fronte di 2,36 milioni che invece hanno accettato l’aiuto delle confezioni di prodotti.

Ma ci sono anche 103.000 persone – aggiunge la Coldiretti – che sono state supportate dalle unità di strada, gruppi formati da volontari che vanno ad aiutare le persone più povere incontrandole direttamente nei luoghi dove trovano ricovero.

Di fronte a questa situazione di difficoltà sono molti gli italiani attivi nella solidarietà a partire da Coldiretti e Campagna Amica che hanno lanciato l’iniziativa della “spesa sospesa”.

Si tratta della possibilità di fare una donazione libera presso i banchi dei mercato di Campagna Amica per fare la spesa a favore dei più bisognosi. In pratica, si mutua l’usanza campana del “caffè sospeso”, quando al bar si lascia pagato un caffè per il cliente che verrà dopo.

Insieme a questi dati forniti da Coldiretti devono essere necessariamente considerati anche quelli recentemente resi pubblici dall’Eurostat.

Infatti in Italia nel 2018 il 27,3% della popolazione è risultata essere a rischio povertà o esclusione sociale contro il 25,5% del 2008, precisando che il nostro Paese figura tra i sette Paesi dell’Unione europea dove oltre un quarto della popolazione è a rischio.

Al primo posto si colloca la Bulgaria (32,8%) mentre l’Italia figura al sesto davanti alla Spagna (26,1%).

E in Sicilia e Campania più del 40% della popolazione è a rischio povertà, ha cioè un reddito disponibile dopo i trasferimenti sociali inferiore al 60% di quello medio nazionale.

Si tratta del livello più alto in Unione Europea.

In Campania la percentuale di coloro che sono a rischio povertà è del 41,4% (era 34,3% nel 2017) mentre in Sicilia è in calo al 40,7%. La situazione migliora in Calabria dove le persone a rischio di povertà sono il 36,4%.

Esaminando il rischio di povertà ed esclusione sociale che tiene conto non solo del reddito disponibile confrontato con la media nazionale ma anche della grave deprivazione materiale e delle famiglie nelle quali è molto bassa l’intensità di lavoro Campania e Sicilia rimangono  comunque le regioni europee nelle quali questa percentuale è più elevata.

In Campania è a rischio di povertà o esclusione sociale più della metà della popolazione (il 53,6%) con un incremento significativo rispetto al 2017 (era il 46,3%) e il dato peggiore dal 2004, anno di inizio delle serie storiche.

In Sicilia il tasso di povertà o esclusione sociale è al 51,6%, in flessione dal 52,1% del 2017.

Secondo l’Eurostat mentre migliora complessivamente il risultato italiano (dal 28,9% al 27,3% le persone a rischio di povertà o esclusione nel complesso nel 2018) in Campania la situazione peggiora.

Osservando le persone che vivono in famiglie nelle quali vi è una bassa intensità di lavoro (dove le persone che hanno tra i 18 e i 60 anni, esclusi gli studenti, hanno lavorato meno del 20% del loro potenziale negli ultimi 12 mesi) Campania e Sicilia sono comunque tra le tre peggiori in Europa.

Dopo la regione spagnola di Ceuta (34,6%) c’è la Sicilia dove oltre un quarto della popolazione vive in famiglie con bassa intensità di lavoro (il 25,8%, in crescita dal 23,7% del 2017).

In Campania è in questa situazione un quinto della popolazione (il 20,9%, in calo rispetto al 23,5% del 2017).

In Italia la percentuale nel 2018 è all’11,3%, in calo rispetto all’11,8% del 2017.


Il tasso di disoccupazione in Europa è il 9% o il 18%?

17 Maggio 2017

In un recente studio della Bce (Banca centrale europea), presieduta da Mario Draghi, si sostiene che il tasso medio di disoccupazione, nell’eurozona – nei Paesi dell’Unione europea che adottano l’euro -, dato dal rapporto tra il numero di disoccupati e le forze di lavoro, sarebbe in realtà non il 9,5% ma il 18%. Quindi il numero effettivo dei disoccupati sarebbe circa il doppio di quello che viene rilevato dall’Eurostat.

Chi ha ragione? L’Eurostat o la Bce?

Innanzitutto, è opportuno verificare come la Bce arriva a quel tasso di disoccupazione.

La Bce considera anche un 3,5% della popolazione in età lavorativa, normalmente definiti “inattivi”, in gran parte quelli che sono chiamati “lavoratori scoraggiati”, cioè coloro che non stanno attivamente cercando lavoro, pur se sono disponibili a lavorare, in quanto ritengono che non ci siano posti di lavoro che soddisfino le loro esigenze.

Poi, la Bce tiene conto di un altro 3%, attualmente sotto-occupato, che lavora meno ore di quanto vorrebbe. E i sotto-occupati nei Paesi dell’eurozona sarebbero attualmente 7 milioni. Tra questi anche i molti lavoratori tedeschi occupati nei cosiddetti mini-job, circa 5 milioni, con uno stipendio medio mensile pari a 500 euro.

Ora in tutti i Paesi del mondo il tasso di disoccupazione viene calcolato tenendo conto dei criteri utilizzati dall’Eurostat. Anche l’Istat adotta gli stessi criteri.

Certamente, vengono forniti i dati sugli inattivi, le stime sui lavoratori scoraggiati e quelle su coloro che la Bce considera sotto-occupati, pur se dati precisi su queste due ultime categorie di persone è difficile  averli a disposizione.

Ma, ripeto, il numero dei disoccupati, ovunque, è determinato non considerando i lavoratori scoraggiati e i sotto-occupati.

E a me sembra corretto considerare tra i disoccupati solo coloro che cercano attivamente un lavoro, anche perché determinare quanti sono i cosiddetti lavoratori scoraggiati, come ho già rilevato, è tutt’altro che facile, e considerare fra gli occupati anche i cosiddetti sotto-occupati, perché, anche in questo caso, non è facile stabilire con certezza il loro numero.

Anche altre statistiche economiche, ad esempio quelle sul Pil, sono imprecise, frutto di convenzioni che gli statistici di tutto il mondo hanno ritenuto opportuno di adottare, perché è molto difficile quantificare certi fenomeni.

Ma se si adottassero altri criteri, i dati sarebbero ancora meno affidabili, essendo maggiormente imprecisi.

Pertanto, io ritengo che sia opportuno continuare, per quanto concerne il mercato del lavoro, e quindi anche il fenomeno della disoccupazione, a ritenere validi i dati forniti dall’Eurostat, pur non dimenticando che esistono i lavoratori scoraggiati, i sotto-occupati e tentando di fornire almeno delle stime sul loro numero, relative ai diversi Paesi europei.