In calo gli italiani soddisfatti della propria vita

19 dicembre 2018

Nel VI rapporto Bes (benessere equo e sostenibile), presentato dall’Istat, arrancano i “domini” delle relazioni sociali, paesaggio e patrimonio culturale e benessere economico, istruzione, lavoro, ricerca e sviluppo, ambiente guadagnano terreno ma il gap con l’Europa è ancora significativo. Calano gli omicidi, alta la guardia per la violenza di genere. Servizi insoddisfacenti al Sud, migliorano però le speranze per il futuro, soprattutto tra i giovani. Però diminuiscono coloro che sono soddisfatti della propria vita.

In generale tutti i dodici ambiti del Bes (benessere equo e sostenibile), sono importanti per il popolo italiano, ma il punteggio più alto è attribuito agli aspetti legati alla salute mentre quello più basso va al dominio “politica e istituzioni”.

Malgrado però la “primaria” considerazione rivolta dagli italiani alla salute, nei fatti le cose non sono andate proprio così.

Nel 2017 si interrompe il trend di crescita della speranza di vita, ma soprattutto procede con grande difficoltà la diffusione di stili di vita più salutari. Unica eccezione in positivo è la riduzione della percentuale di persone che non praticano alcuna attività fisica nel tempo libero (da 39,4% e 37,9%). Nonostante ciò, un maggiorenne su 5 è sia in eccesso di peso sia sedentario, due condizioni che, se compresenti, possono costituire un serio rischio per la salute.

Tuttavia, gli ultimi dati disponibili contenuti nel VI rapporto Bes dicono che la situazione nel complesso delle varie misure è in miglioramento: quasi il 40% degli indicatori per i quali è possibile il confronto con l’anno precedente mostrano una variazione positiva, mentre risultano inferiori ma significative le percentuali di quelli che peggiorano (31,8%) o rimangono sostanzialmente stabili (29,1%).

Tuttavia, nel complesso dei domini, la quota di indicatori che peggiorano è significativa (36,2%), evidenziando un gap rispetto al pieno recupero delle condizioni di benessere sperimentate prima dell’ultima crisi economica.

Ciò si verifica specialmente per i domini Relazioni sociali (unico elemento positivo è l’aumento delle istituzioni non profit attive in Italia, che crescono del 2,1% in un anno e sono 56,7 ogni 10 mila abitanti nel 2016), Paesaggio e patrimonio culturale (anche se le aziende agrituristiche, che svolgono un ruolo importante nello sviluppo rurale e nella difesa del territorio, sono sempre più diffuse (+3,3% rispetto all’anno precedente), l’indice di abusivismo edilizio è in leggera riduzione (19,4 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate, contro le 19,6 del 2016) e la pressione esercitata sul paesaggio e sull’ambiente dalle attività di cave e miniere è in calo (nel 2016 -3% rispetto all’anno precedente), Benessere economico (che però torna ai livelli del 2010-2011 il reddito aggiustato lordo disponibile pro capite delle famiglie, che ammonta a 21.804 Ppa (Parità del Potere d’Acquisto), anche se risulta inferiore dell’1,7% alla media europea e del 7,8% alla media dell’area Euro).

Anche se la situazione generale è dunque in lieve ripresa, il gap con l’Europa rimane consistente.

Ad esempio, i principali indicatori dell’istruzione e della formazione si mantengono molto inferiori alla media europea. Particolarmente critica la dinamica dell’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione (14% dei giovani di 18-24 anni) in crescita dopo 10 anni di ininterrotta diminuzione, specialmente al Nord.

Il digital divide, poi, misurato in termini di competenze digitali, penalizza fortemente gli anziani, che dichiarano competenze avanzate solo nel 3% dei casi. Ne deriva, per questa fascia di popolazione, una esclusione generalizzata dai vantaggi della società dell’informazione.

Anche sul fronte del lavoro, malgrado i livelli di occupazione dei 20-64enni (62,3%) aumentino, il ritmo di crescita è decisamente più lento rispetto a quello medio europeo (72,2%), con un divario più ampio per le donne.

Le condizioni del Mezzogiorno rimangono comunque difficili: in Sicilia la quota di mancata partecipazione al mercato del lavoro raggiunge il 40, 8%, un valore dieci volte maggiore rispetto a quello registrato nella provincia autonoma di Bolzano.

Lievi miglioramenti si registrano per la sicurezza sul lavoro: il tasso di infortuni mortali e inabilità permanente continua a ridursi, raggiungendo nel 2016  quota 11,6 infortuni per 10.000 occupati (era 12,1 nel 2015).

Anche la spesa in ricerca e sviluppo sul Pil è in aumento nel 2016 (+0,1%) così come gli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (+2,1% nel 2017), ma anche in questo caso permane un ampio gap rispetto ai livelli registrati nel resto dei Paesi europei.

Migliora però nel 2017 il saldo tra entrate e uscite dei giovani laureati italiani, con il tasso migratorio che passa a -4,1 per mille (da -4,5 per mille nel 2016).

Il Nord si conferma l’area del Paese che offre maggiori opportunità ai giovani con alto livello d’istruzione (+7,7 per mille) mentre si registra una diminuita capacità del Centro di attrarre e trattenere giovani laureati (-2,9, da -2,4 nel 2016) e una sostanziale stabilità del Mezzogiorno, dove prosegue la perdita di giovani laureati (-23 per mille).

Aumenta anche la percentuale della raccolta differenziata, che nel 2017 raggiunge il 55,5% del totale (tre punti in più dell’anno precedente e 20 punti in più del 2010). Nonostante il miglioramento, la quota è ancora lontana dall’obiettivo del 65%, fissato per il 2012 dalla direttiva comunitaria 2008/98/CE, raggiunto soltanto nel Nord (66,2%)

Peggiora invece la qualità dell’aria nelle città, si per le polveri sottili Pm10 sia per il biossido di azoto. Le città più inquinate sono quelle del Nord, dove due centraline su tre hanno superato i limiti per Pm10 e una su quattro per No2.

Peggiorano anche gli indicatori di rischio idrogeologico: nel 2017 il 2,2% della popolazione è esposta al rischio di frane e il 10,4% al rischio di alluvioni.

Stabili invece le emissioni responsabili dell’effetto serra, stimate in 7,2 tonnellate pro capite come nell’anno precedente

Sul piano della sicurezza prosegue il calo degli omicidi (nel 2017 sono 0,6 per 100.000 abitanti)  e migliora, seppure leggermente, anche la percezione di sicurezza: le persone che si dichiarano molto o abbastanza sicure di camminare al buio da sole nella zona in cui vivono sono il 60,6% nel 2016 (erano il 59,6% nel 2009).

Si conferma la necessità di una particolare attenzione nei confronti delle violenze di genere: l’80,5 delle donne uccise è vittima di una persona che conosce (nel 43,9% dei casi di una partner o un ex partner). Nel 2017, 49.152 donne si sono rivolte a un centro antiviolenza.

Segnali negativi sul fronte dei servizi dove il 7,6% delle famiglie dichiara molta difficoltà a raggiungere tre o più servizi essenziali nel 2015-2017. L’accesso ai servizi è molto difficile per il 10,5% delle famiglie nel Mezzogiorno e solo per il 5,5% di quelle nel Nord.

Meglio non va per i trasporti: nel 2017 la soddisfazione per i servizi di mobilità segna una contrazione, con solo il 16,4% degli utenti assidui dei mezzi pubblici che si dicono molto soddisfatti del servizio (17,8% l’anno precedente). Particolarmente critica la situazione nel Lazio, dove solo il 3,%% degli utenti abituali si dichiara molto soddisfatto.

In questo quadro la soddisfazione per la propria vita, espressa dagli italiani, presenta un nuova flessione nel 2017. Sono meno soddisfatte le donne (38,6% contro il 40,6% degli uomini) e gli anziani (33,9% delle persone di 75 anni e più, 52,8% tra i 14 e i 19 anni).

Nonostante tutto, però, migliorano le aspettative per il futuro: in lieve aumento la quota di individui che ritiene che la propria situazione migliorerà nei prossimi 5 anni (27,2%), sostanzialmente stabile quella dei pessimisti (15%).

E i giovani sono quelli che nutrono maggiori speranze per il futuro.


Per il governo il Pil non è più l’unico indicatore del benessere

3 Maggio 2017

Il Pil viene generalmente considerato dai governi, dall’Unione europea, dalle istituzioni economiche internazionali, il più importante, e spesso l’unico, indicatore del benessere di un determinato Paese. Per la verità, soprattutto a livello accademico, ma non solo, da molto tempo ormai sono stati evidenziati i limiti di quella variabile nel rappresentare adeguatamente il benessere, tanto che sono state avanzate varie proposte tendenti ad integrare il Pil con altri indicatori o, addirittura, a sostituirlo con altre grandezze economiche.

Il governo italiano, per la prima volta, nel documento di economia e finanza recentemente presentato, ha preso in considerazione, oltre al Pil, altri quattro indicatori di benessere, per i quali sono stati forniti i dati relativi al triennio 2014-2016 e le previsioni riguardanti il periodo 2017-2020.

Questi quattro indicatori del benessere sono il reddito medio, il tasso di mancata partecipazione al lavoro, l’indice di diseguaglianza del reddito disponibile, l’emissione di anidride carbonica, che si sono aggiunti pertanto al Pil pro capite.

Sono stati scelti quei quattro indicatori non solamente per la loro significatività ma anche perché per essi erano disponibili dati certi e quindi affidabili. E’ probabile che nei prossimi anni, nel Def si aggiungano anche altri indicatori del benessere.

Quindi, pur se il Pil rimane l’indicatore principale, soprattutto perché istituzioni importanti come l’Unione europea lo considerano tale, nel valutare le “performances” economiche dei diversi Paesi aderenti e nell’indicare, se necessario, modifiche alle politiche economiche di quei Paesi, inerenti soprattutto la situazione dei conti pubblici, è comunque positivo il fatto che per la prima volta il governo italiano, in un documento ufficiale di notevole rilievo, abbia fornito i dati e le previsioni circa i quatto indicatori di benessere citati.

In questo modo si ha una percezione migliore della situazione economica del nostro Paese e del suo andamento futuro, soprattutto del benessere della popolazione.

Un deciso passo in avanti avverrà quando anche l’Unione europea, nel valutare i risultati economici dei diversi Paesi, considererà importanti come il Pil anche gli indicatori di benessere presi in esame dal nostro governo ed altri simili.

Può essere interessante confrontare, per i quattro indicatori in questione, i valori che assumono in Italia con i valori medi dell’Unione europea.

Per quanto concerne il reddito pro capite, nel 2015, l’Italia, con oltre 21.000 euro, si situava poco sotto la media Ue.

Considerando invece il tasso di mancata partecipazione al lavoro, cioè il tasso di inattività, la situazione è decisamente peggiore: in Italia, sempre nel 2015, il 22,5% delle persone tra i 15 e i 64 anni era inattivo, una percentuale non molto distante da quelle, le più elevate, che si riscontravano in Spagna (25,2%) e in Grecia (26,2%). Mentre in Germania quella percentuale, la più bassa, era pari al 5,8%.

Per quanto riguarda l’indice di diseguaglianza, in Italia era pari a 6,4, un valore più alto rispetto a quello medio dell’Ue (il Paese con l’indice più elevato era la Romania – 8,3 –  e quello con l’indice più basso era la RepubblicaCeca – 3,5 -).

Era migliore, infine, la performance dell’Italia relativamente al livello di emissione di anidride carbonica, più basso rispetto alla media Ue e ai livelli che caratterizzavano grandi Paesi come Germania e Olanda, anche se tutti, compresa l’Italia, erano lontani dagli obiettivi sanciti nell’accordo di Parigi.